Archive for dicembre 2008

Santo Stefano 2008

Da qualche anno uno spirito nuovo soffia sulla Giornata dell’Opulenza. La festa in cui un gruppo di amici storici si ritrovava a tavola, nonostante tutto e tutti, sta lentamente mutando forma. Era l’appuntamento fisso, imprescindibile, che ogni anno, cascasse il mondo, ci vedeva protagonisti assoluti. L’espediente fortunato di un lungo e suntuoso pranzo, per parlare e viversi con franchezza. Non ci si vedeva per mesi, ma quella data del 26 dicembre è stata per anni (dodici, tredici?) la tappa fissa da percorrere, la meta scritta da raggiungere, la stella polare da seguire. Cambiavano le scuole, le donne, i lavori, ma quell’appuntamento è sempre rimasto “intoccabile” nelle agende di tutti.
Poi s’è rotto qualcosa. Qualche cronica defezione e qualche celebre abbandono hanno spinto a cercare sangue giovane per rinvigorire la vitalità del gruppo. Oggi rimane uno zoccolo duro di uomini-eroi e nuove leve che si affiancano promettenti. È tutto molto bello, ma è tutto diverso. Non trovo più lo spirito di allora e con nostalgico disappunto ammetto a me stesso che tutto scorre.
Per la cronaca, il tradizionale pranzo si è svolto con la consueta battaglia campale a colpi di forchetta e bicchiere. Questo il menù stilato dall’organizzazione.

Aperitivi:
Gocce di focaccia in allegoria di farcitura contadina
Fior d’oliva della Trinacria e capperi di Ventotene
Briosità di prosecco del feudo Castelfranco
Pacific sunset boulevard

Antipasti:
Lecca-lecca di formaggio caprino alle granaglie dei casali salentini
Carpaccio d’angus del Connemara, con sentori coloniali e nettare di frantoio
Cialda magna del mugnaio, in fragrante tostatura di cecio nobile

Prime portate:
Spaghetti all’ovo, in letto di bottarga della Gallura e aromi mediterranei
Follia del bucaniere con prelibatezze dei Caraibi
Risotto della Duchessa mantecato alla zucca, in virtuosismo di salsiccia mantovana e spezie dell’oriente

Sorbir freddo di agrumi siculi

Seconde portate:
Branzino del Mar Nero, in brillatura di sale e odori del maestrale
Filetto di vitellone brado, addomesticato alle vampe della pietra lavica con oli crudi dell’Ellesponto

Contorni:
Delizie selvatiche dei colli, in balsamo d’aceto
Ghiottoneria di patate novelle agli effluvi del rosmarino

Formaggi:
Giostra del caciaio, in vortice di mostarde piccanti e marmellate del bosco

Sorbir freddo del contado della Val di Non

Dolci:
Semifreddo cremoso, alla nocciuola del Monferrato
Sbricciolona sbronza
Anello del Re Ludwig in sposalizio di zabaione caldo

Frutta:
Gioie del granaio

Caffè

Selezione di grappe riserva e amari del contrabbandiere

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Intellettuali moderni

Jacques Le Goff scrisse anni fa un piacevole saggio intitolato “Gli intellettuali del Medioevo”. In quelle pagine sottolineava la nascita di una figura nuova e rivoluzionaria, sottolineando soprattutto le caratteristiche umane e le virtù empiriche di quegli uomini prestati alla cultura.
Stamani, con qualche perplessità e titubanza, mi sono recato nello studio dell’architetto Zandonella, per chiedere la sua disponibilità ad affiancare la presentazione del mio libro, in qualità di relatore.
Lo Zandonella architetto subitamente mostra le proprie riserve, adducendo di non essere all’altezza. Un gesto di falsa modestia, dico io. Chi meglio di lui potrebbe intervenire in una presentazione di un volume sul territorio e la sua storia?
Lo Zandonella uomo invece sale in estasi. Si compiace del mio lavoro e quasi gli brillano gli occhi di felicità. Accetta con gratitudine il volume che gli regalo e mi porge il suo: un interessante studio archeologico sul castello di Monzambano e sul suo recupero architettonico. Si affretta a farmi la dedica, come ogni scrittore navigato che si rispetti. Poi mi porge il mio dizionario, apre la pagina bianca e mi fa impugnare la penna. Ricambio, con visibile impaccio, una dedica improvvisata, ma efficace. La legge soddisfatto e il suo sorriso val più di mille parole.
Apprezza quanto gli dico e riporge considerazioni e attestati di stima autentici ed originali, che porterò via con me, nel profondo dell’intimo. Poi mi stringe la mano facendomi gli auguri.
Esco dal suo ufficio con l’impressione di un breve incontro tra intellettuali. E ribadisco a me stesso che la scrittura dà davvero alla testa.

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Misera Chiesa in misero Stato

Il Vaticano taccia come “approssimazione storica e meschino opportunismo politico” l’intervento di Fini sulle responsabilità della Chiesa cattolica, di fronte alla promulgazione delle leggi razziali del ’39. Scontro tra eredi dei colpevoli, sembrerebbe.

Si perpetra così l’antico vizio dell’Italia di fronte ai dibattiti storici: l’abitudine cioè, secondo cui ognuno può dire un po’ quello che vuole.

È innegabile che l’atto infame del regime totalitario, cui va addebitata ogni responsabilità, trovò una parte di sostegno nell’opinione pubblica di una società ormai compromessa e marcescente. In un paese allo sbando, che vedeva nella guida forte del dux l’unica via d’uscita, non furono isolate le posizioni di chi assecondava qualsiasi scelta del regime, anche la più folle. D’altro canto è acclarato anche che il papa di quel periodo, Pio XII, si schierò fermamente contro le leggi razziali, pronunciando più volte inequivocabili discorsi ed appelli.

A Pio XII, però, si rimprovera di non aver mai condannato apertamente le deportazioni del regime nazista. Nel Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, un’iscrizione definisce il papa come “ambiguo”. Di fronte alle proteste del Vaticano, i responsabili del Museo si resero disponibili a rivedere quel giudizio qualora i documenti degli archivi vaticani avessero dimostrato i buoni intenti del Pontefice. Il permesso ad accedere agli archivi non fu mai accordato.

Di ambiguità fu accusato anche Pio XI, suo predecessore, che parlo di Mussolini come dell’”uomo della provvidenza” e che si vide più spesso impegnato a contrattare i privilegi ecclesiastici che a esecrare il regime fascista.

Forse dunque, come spesso accade, la verità sta un po’ nel mezzo.

Esiste sull’argomento un bel libro, che non ho ancora avuto modo di leggere: Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, di Emma Fattorini.

Ne riparleremo.

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Scribo, ergo sum

Il filosofo Abelardo diceva che “bisogna prendere speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, perché è un male pericoloso e contagioso”.

La sensazione che si prova nel pubblicare un libro è quella di salire in orbita e di non voler scendere più. Scriverlo è meraviglioso, certo. Perdere tempo nelle passioni vere, nelle ricerche che hanno un gusto, nella cura dei particolari è un sentimento autentico e quasi inspiegabile. Questo è il vero piacere di lavorare. Ma quando si arriva finalmente alla pubblicazione, si è preda di una droga che altera l’organismo e la personalità, e che spinge ostinatamente all’assuefazione.

Vedere la propria copertina nelle vetrine del centro città annega di soddisfazione un ego già troppo compromesso. I commenti entusiasti dei compaesani fanno sentire importante. Trema la mano, quando scrive le prime dediche (io che firmo un mio libro?), mentre la voce che racconta al corrispondente della Gazzetta tutto quanto… è un fiume in piena che non s’arresta più.

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Buona forchetta – Apericena

Nome sconcertante per un posto piuttosto valido.

Il locale si trova nella zona residenziale di Valletta Paiolo, decisamente fuori dalla vita del centro città. Esternamente appare come un’abitazione. All’ingresso l’ampio bancone ricco di vettovaglie offre il sostegno ad un aperitivo lungo. Salendo la stretta scala si arriva alle piccole stanze che ospitano i tavoli.

Menù vario (fatevi elencare anche i piatti extra lista) e ottima cucina: ho apprezzato gli gnocchi di zucca con ricotta affumicata e guanciale. Un po’ scarna la lista dei vini: da dimenticare il Barbera, eccessivamente sopravvalutato (triple A) nei commenti del menù.

Se non si esagera come me, con 30€ si può tranquillamente mangiare. È una interessante alternativa ai soliti posti.

Voto 7+

 

Trattoria Furlotti Apericena – viale Sabotino 13, Mantova

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Cara Santa Lucia…

Una roba che proprio non sopporto di questo periodo pseudo-natalizio sono le lettere a Santa Lucia della Gazzetta di Mantova.

Insopportabili smancerie scritte dai genitori e firmate dai bambini, che per mesi impestano un intera pagina di quotidiano. Tutti vogliono in regalo la pace nel mondo. Bambini di 4 anni che si esprimono come un ordinario di letteratura antica. Lettere di richieste inviate anche quando Santa Lucia e Babbo Natale sono ritornati in letargo da settimane. Pur di vendere dieci copie in più ai parenti, in estasi mistica per la foto del fanciullo in bella mostra, si getta nel cesso la qualità (ammesso che ne esista una) del giornale.

Insostenibile.

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Dieci motivi per lavorare a Roma

1- Salire su un Audi A6 blu, con l’autista privato ed i vetri oscurati mi fa sentire un magistrato in carriera o un parlamentare leghista che sverna a Roma. Quando sfreccia a velocità impossibili da Fiumicino all’Eur, viene spontaneo guardarsi dietro per vedere dove è finita la scorta.

2 – Il tempo trascorso all’aeroporto o sugli aerei mi consente di leggere almeno due quotidiani a settimana. È una cosa che amo e che non trovavo più il tempo di fare. La pagina sui polpastrelli dà l’ebbrezza sensoriale di una romantica antichità.

3 – I ritmi di lavoro sono leggermente dilatati. È chiaramente una questione filosofico culturale, ma alzarsi con calma e iniziare senza frenesia a volte cambia davvero la giornata.

4 – Clima fantastico. Girovagare in dicembre in fresco lana non è proprio da tutti.

5 – I tassisti sono maschere di teatro, attori professionisti, macchiette uniche. Con le loro battute si potrebbe scrivere un libro. Per ora sono sufficienti ad allietare le giornate più pesanti.

6 – La metropolitana è un ottimo parco somiglianze. Durante gli spostamenti bisogna pur farsela passare: fantasticare sui visi e proporre accostamenti più o meno calzanti è uno dei miei hobby preferiti. Per ora è in testa Battiato, dell’ufficio di fianco, con il 92-93%.

7 – Le sporadiche passeggiate per il centro si permeano di storia. Sapevo che Roma è una città bellissima, ma non credevo potesse suscitare una suggestione così forte. Lo sguardo si riempie di cultura, quasi senza accorgersene.

8 – Gli uffici delle Poste Italiane sono famosi per due cose: la sontuosa mensa interna e le greggi di fanciulle che pascolano tra corridoi e saloni. Gusto e vista risultano abbondantemente appagati.

9 – Le scenette che si vedono ai controlli di sicurezza meriterebbero un capitolo a parte: gente con coltelli nella valigia, turisti costretti a gettare confezioni di salmone o vino pregiato, anziani goffamente perquisiti o donnine succinte che sperano invano nella perlustrazione di avvenenti agenti della security… uno spasso.

10 – Se spendi 4,23 euro a pranzo, sai perfettamente che te ne restano 31,92 per la cena. La paura di sforare sulla diaria del vitto fa sviluppare un’innata capacità di calcolo matematico. Potrei fare il bilancio degli Stati Uniti in mezzora (Tremonti al cospetto diventa un ragioniere di primo pelo) o insegnare agevolmente meccanica quantistica ad Harvard.

A breve inserirò anche i dieci motivi per NON lavorare a Roma

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