Adrenalina, allo stato puro. È questa la sensazione che si prova la prima volta che si fa torrentismo. È la sensazione che domina tutte le tre ore e mezza di discesa. È l’impressione che più rimane viva nella memoria di chi l’ha provato e di chi lo racconta.
Parto da casa con l’entusiasmo solito della gita delle elementari, con l’adrenalina e l’agitazione che hanno tolto parecchio sonno alla mia notte, ma che mi tengono eccitantemente sveglio anche durante il lungo tragitto d’auto verso Tignale.
Con me ci sono i “no limits brothers” (i fratelli Bussacchetti); insieme a loro un nipote e la sorella Chiara. Ci guida Franco, cinquantenne nerboruto e mantovano, esperto di canyoning, che di adrenalina è dipendente allo stato terminale e che non perde occasione per scendere dai torrenti di mezza Italia. Il settimo è Daniele un pazzo survivor che ha tentato di attraversare da solo l’Amazzonia nei duecento chilometri di Guiana Francese, accompagnato solo da un fucile. Dicono sia tornato con la tendinite, dopo aver ammazzato un coccodrillo, mentre il suo predecessore non è tornato proprio. Leggende? Forse. Ma i compagni di viaggio non sono tra i più raccomandabili.
La vestizione con la muta e l’imbragatura alza il livello di guardia del sistema nervoso: l’adrenalina inzia ad aumentare proprio mentre il cervello proietta le azioni di adesso al pericolo del dopo. Non ci si mette solo la muta, ma si razionalizza a che cosa serve questa tuta, dove ci accompagnerà, da cosa ci proteggerà.
Chiara ha un forte mal di testa e cerca un rimedio per riuscire almeno a partire nella discesa. Il survivor suggerisce di mangiare corteccia di salice (lo giuro!) che contiene acido acetilsalicilico, mentre Franco sentenzia: “tra dieci minuti, con l’adrenalina che avrai nel sangue, non sentirai più niente”. Ci zittiamo tutti, tra un sorriso appena abbozzato e la consapevolezza di un viaggio senza possibilità di retromarce. Intanto i turisti saliti con le agenzie tornano ad uno ad uno. Una guida ci dice che la troppa acqua degli ultimi temporali rende assai insidiosa la discesa: stupido rischiare, gli istruttori non si fidano molto. Ma noi procediamo e l’adrenalina adesso trasborda, quasi non ci sentissimo parte del genere umano e come se il lungo viaggio in auto giustificasse in qualche modo anche l’annegamento.
Inizia la discesa: dapprima con la corda, poi con i primi piccoli salti. La forra, cioè la gola, è spettacolare e mozzafiato. Le asperità dell’ambiente gratificano la natura con un fascino sinistro e splendido allo stesso tempo.
Ecco il primo vero salto: è qui che l’adrenalina si sente scorrere a folate nel sangue. Quindici metri di vuoto e poi uno specchio d’acqua che da quassù sembra minuscolo e lontanissimo. Attorno solo rocce e tanta paura. Scorre il sangue, scorre più denso dell’acqua del torrente e forse più scuro del buio, che vedo mentre chiudo gli occhi. Respiro a pieni polmoni e riapro lo sguardo, proprio mentre mi accorgo di essere già in volo. La discesa non finisce più. Sembrano ore, invece in un attimo mi trovo sott’acqua. Ho vinto io e prima ancora di recuperare l’ossigeno, mi viene da ridere e da gioire. Emergo con il pollice levato ed il ghigno fiero dell’esperto corsaro.
Continuiamo, calandoci con la corda al fianco di una cascata di cinquanta metri. Giunge rumorosa in una laghetto oscurato dal sole e contornato da rupi ed alberi. Un attimo per riposare, poi il sangue vuole altra adrenalina, quella necessaria per scendere i velocissimi scivoli ciechi, che ti trasportano alla velocità della luce verso il niente, perché acqua e rocce nascondono ogni visuale. Fiducia, fede, speranza e tanta adrenalina, tanta, tanta adrenalina ancora.
Le ammaccature alle ginocchia, i colpi ai polsi ed ai gomiti, ed il freddo di un torrente di montagna proprio non si sentono. Aveva ragione Franco, è l’adrenalina che lenisce ogni dolore e che mantiene alta la guardia. Ci si sballotta tra protuberanze di pietra e qualche tronco d’albero caduto, ma non si sente niente.
È finita, il torrente che arriva tranquillo alla strada sembra restituirci ad un’altra dimensione. Pian piano arrivano il freddo, la fame, poi la stanchezza e qualche dolore. L’adrenalina ora è scappata ed al suo posto è rimasta la gioia.
#1 by Enrico at 12 giugno 2008
Cavolo, io di quando ci provai ricordo solo la (immensa) fatica. Soprattutto della risalita a monte attraverso il bosco…
#2 by paio at 12 giugno 2008
Da egoista a volte vorrei che venissi in moto con noi anche solo per raccontare così i nostri viaggi.
#3 by admin at 12 giugno 2008
Tipo: “dal nostro inviato…”?
#4 by Erica at 13 giugno 2008
E pensare che lavora in una società di informatica che sviluppa prevalentemente software finanziario!
Sono dell’opinione che sia completamente sprecato!
P.s.: Per il Paio, che non ho il piacere di conoscere.
Potresti portarlo in moto anche come passeggero. Ti assicuro, e parlo per esperienza personale, che si possono provare intense e adrenaliniche sensazioni, molto dipende dal pilota, naturalmente.
#5 by paio at 13 giugno 2008
Erica…
io parlo da motociclista e non sono mai stato scarrozzato ma credo che fare il passeggero in moto sia una delle peggiori torture che si possano subire.
Non odio abbastanza il nostro caro Silvio.