Quale festa


2 Giugno, Festa della Repubblica. Di fronte alle istituzioni incapaci, all’impossibilità degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, alla classe dirigente intenta solo a perpetrare se stessa, ha davvero senso festeggiare la Repubblica?

Lo Stato italiano fu una cosa appena passabile finché rimase lo Stato dei pochi che lo avevano fatto e dei “notabili” loro diretti discendenti. Quando volle diventare – com’era giusto, logico e inevitabile – lo Stato di tutti, fu un disastro appunto perché non aveva radici, e cadde subito preda di due forze extra-nazionali, se non anti-nazionali: quelle cattoliche che avevano in corpo la Chiesa, e quelle socialiste che avevano in corpo la classe. Sui risultati dell’ultimo plebiscito, quello istituzionale del 2 giugno, tutto fu fatto per il successo del pronunciamento repubblicano, e non escludo nemmeno qualche broglio. Ma, come mi disse Re Umberto a Cascais, la Monarchia, a differenza della Repubblica che poteva contentarsi di un margine risicatissimo, avrebbe avuto bisogno di una vittoria netta che non era nelle sue reali possibilità. E questo, il galantuomo Umberto lo diceva a un monarchico, quale io ero e rimango. Convinto, com’ero e sono, che rinnegando la monarchia, gl’italiani buttavano al macero il Risorgimento, modestissima cosa, ma unico nostro patrimonio “nazionale”. E ora ne vediamo gli effetti. Con la Repubblica siamo scaduti da Cavour a Romita e ora a Bossi. Ma non c’è speranza che gl’italiani se ne rendano conto e lo riconoscano. Come al solito ritireranno fuori la fuga di Pescara e le balordaggini dell’attuale erede. Di distinguere il problema delle persone da quello delle Istituzioni, noi siamo assolutamente incapaci. Che l’Istituzione rappresentasse il filo, sia pure fragilissimo, della nostra identità e continuità storica, ci sfugge completamente perché di una identità e continuità storica nazionale non abbiamo nemmeno il sospetto.

(Indro Montanelli – Corriere della Sera, 8 giugno 1997)

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