Archive for marzo 2008

Quei signori degli anelli

Tibet, argomento molto delicato e difficile. Non tanto perché risulti malagevole ed arduo muoversi tra i complessi equilibri etici e i principi che il tema inevitabilmente tocca, quanto perché è necessaria una conoscenza di base sulla situazione storico-politico-culturale dei rapporti tra Cina e Tibet.
Semplifichiamo. L’origine della quaestio sgorga dall’invasione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese nel 1950, in barba a tutte le leggi internazionali. Dopo anni di tentativi da parte del Dalai Lama di instaurare una pacifica convivenza tra i due popoli, la pressione espansionistica della Cina determinò le prime accese ribellioni della cittadinanza tibetana, prontamente sedate nel sangue. Seguì il confino forzato del Dalai Lama in India con centomila fedelissimi al seguito, quasi tanti quanti quelli sterminati solo nell’ultimo anno di occupazione. Istituito un governo in esilio, tecnicismo del diritto internazionale che meriterebbe un approfondimento a parte, iniziò un continuo esodo dal Tibet all’India che dura fino ai giorni nostri.
I morti a causa delle persecuzioni cinesi iniziate nella metà del secolo scorso sono più di un milione. La Cina ha distrutto quasi tutto il patrimonio artistico del territorio, ha deforestato la regione e parcheggiato le sue scorie nucleari. I tibetani che non hanno lasciato il territorio sono continuamente oppressi ed emarginati, imprigionati, torturati, le donne forzatamente sterilizzate.
Tutto questo è avvenuto davanti all’impotenza di fatto delle Nazioni Unite: risoluzioni a raffica, appelli alla tutela dei diritti umani e premio Nobel al Dalai Lama non hanno minimamente scosso il governo cinese. Se la Cina siede tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, il controllante e il controllato finiscono per essere la stessa persona: difficile ottenere risultati.
I Giochi Olimpici dovevano essere il do ut des per ottenere il rispetto delle più elementari norme democratiche, che in Cina sono durevolmente infangate. Ora anche l’ipotesi di boicottare la sola cerimonia d’apertura sembra fantascientifica e suscita un’inspiegabile stupore. La Cina otterrà tutti i vantaggi delle Olimpiadi e non cambierà una virgola dei suoi rapporti con il Tibet. La colpa è della comunità internazionale e delle singole nazioni, che firmano risoluzioni e petizioni a mucchi, ma sottobanco strizzano l’occhio agli occhi a mandorla.
E l’operaio cinese Yang Chunlin è stato condannato a cinque anni di prigione per aver scritto una lettera pubblica intitolata “Vogliamo diritti umani, non i Giochi olimpici”.

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Il finanziamento dei nanetti


Sono in molti a non capire come mai anche i più nani dei nostri partitini si presentino ancora alle elezioni (per il Campidoglio, a Roma, i simboli sono 31!). Non si diceva che il coraggioso «andare da solo» di Veltroni, in parte imitato da Berlusconi, li avrebbe falciati? Già, si diceva. Se Prodi avesse, o avesse mai avuto, il fiuto politico di Berlusconi, l’ ultimo atto del suo governo poteva essere di cancellare con decreto legge la orrenda normativa sul finanziamento dei partiti che ha alimentato la proliferazione di nanetti e addirittura micro-nanetti visibili solo con una lente di ingrandimento. Dopo tanti provvedimenti impopolari, sarebbe uscito di scena in bellezza con un atto altamente popolare. Invece Prodi si è dichiarato difensore dei partitini fino all’ ultimo minuto, fino a quando il nanetto Mastella lo ha fatto cadere. E sì che Mastella lo preavvisava da mesi. Così anche questa partita è caduta su Veltroni, che chiaramente si trova ingorgato da troppi problemi. Che saranno aggravati, temo, dal suo reclutamento. Entro in parlamento, ha dichiarato la giovanissima e leggiadra Marianna Madia, capolista Pd nel Lazio, «forte della mia straordinaria. inesperienza politica». Se fosse una battuta, è difficile essere più spiritosi di così. Ma Marianna dice sul serio. Farà carriera. Come Robespierre, crede in tutto quello che dice. Sia come sia, sul punto Veltroni ha insediato un gruppo di lavoro presieduto dal suo costituzionalista «tuttofare» professor Ceccanti (tale perché si ritroverà, alla Camera, unico e solo). L’ idea sarebbe «meno soldi pubblici, più soldi privati». Ma non è detto che l’ idea sia buona. Il sempre richiamato esempio degli Stati Uniti è molto variegato. Ma per le elezioni presidenziali, che sono le più importanti, le limitazioni normative sono state di fatto cancellate dai Pac (Political Action Committees) che sono comitati privati e indipendenti che però «fiancheggiano» un candidato, e che sono liberi di combinarne di tutti i colori. L’ altro modello è quello dei matching funds: le donazioni dei privati vengono pareggiate dallo Stato. In tal caso l’ ipotesi divertente è che Berlusconi doni al suo partito 1 miliardo, obbligando il Tesoro a fare altrettanto. Ma l’ eventualità più probabile, in Italia, è che i privati non donino abbastanza per tenere in piedi la baracca. Veniamo al finanziamento pubblico. Dopo il referendum del 1993 che lo aboliva i partiti hanno rimediato con il rimborso per ogni voto conseguito. Il principio è sensato. Ma siccome siamo in Italia è rapidamente degenerato in una pappatoria generalizzata. Oggi il rimborso va a tutti i nanetti che arrivano all’ 1 per cento del voto; e dunque a gruppi politici che per gli studiosi nemmeno si qualificano come partiti (visto che non riescono ad eleggere nessuno). E’ questa pioggia benefica di soldi sprecati che foraggia la frammentazione e che la sostiene anche in questa elezione. Questa pappatoria, non è, beninteso, il solo scandalo che ci affligge sul finanziamento pubblico, ma è il primo da decapitare.

Giovanni Sartori (Corriere della Sera – 22 marzo 2008)

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Buona forchetta – Fontanabroccola

Dall’esterno, giunti al parcheggio, si ha l’impressione di un agriturismo di recente fattura, immerso nel verde delle campagne, ai piedi degli Appennini parmensi. Basta varcare la porta d’entrata per capire che si tratta di un ristorante molto curato. Molta attenzione per il servizio, con tre bicchieri in tavola, pane sempre caldo e salvagoccia per le bottiglie. Decisamente consigliabili gli antipasti di salumi (su tutti il culatello), mentre tra i primi ci sono piaciuti, benché in dosi un po’ scarse, i tagliolini al tartufo e le caramelle allo zafferano e verdure. Vino solo in bottiglia: la carta offre diverse opportunità, anche se ci sono poche etichette sotto i 20€. Il lambrusco “le viole” e il gutturnio “la posa” sono un buon compromesso, ma nulla di trascendentale. Buoni, ma ancora un po’ scarsi, i dolci. Spicca per la qualità, certamente meno per la quantità. Con antipasto, primo e dolce abbiamo pagato 30€: il punteggio finale non può che risentirne.

Voto 6,5

Ristorante Fontanabroccola – Loc. Salsominore Passionasse, Salsomaggiore Terme (PR)

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Il bimbo e il pappagallo

UN MESSAGGIO PER PAPA’
Sempre teso e preoccupato,
qualche volta un po’ arrabbiato,
tempo libero non hai
e non stiamo insieme mai;
poi la sera tu sei stanco,
posso solo starti accanto
e abbracciarti stretto stretto
sul divano o nel tuo letto!
Io con te vorrei giocare
Ma tu hai sempre da fare;
dai, su, fermati papà,
lascia tutto, vieni qua!
Senti il tuo telefonino:
chi ti chiama è il tuo bambino,
è il messaggio del mio cuore:
“Tu sei il papà migliore!”
 

Questa è la poesia che un bambino medio, diciamo un figlio di Bertagna, avrebbe dovuto imparare a memoria in occasione della Festa del Papà.

A parte il fatto che la situazione descritta come “tipica” dipinge una famiglia alquanto triste ed infelice, abbiamo dibattuto su quanto inutile sia imprimere nella mente questa “finzione”. Si diceva che ai nostri tempi, ce la cavavamo con un lavoretto o un disegno. Ma queste filastrocche da pappagallo ammaestrato proprio no!

Io ricordo di aver imparato a memoria poesie di Rodari, di Carducci o di Ungaretti, ma fesserie simili il mio maestro non le avrebbe neppure immaginate. Sarebbe troppo facile e gratuito denunciare l’inadeguatezza dell’attuale sistema dell’istruzione e dei moderni metodi educativi al paragone dei saggi dei nostri tempi. Altrettanto facile sarebbe concludere che i bambini di oggi sono quello che sono perché gli insegnanti sono quello che sono. Mi limito a dire che con un po’ di fantasia e buonsenso si potrebbe fare meglio. Se proprio dobbiamo ammaestrarli con le rime, almeno inculchiamo qualcosa di sensato.

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Buona forchetta – Salice

  

Agriturismo nuovo, con arredamento “finto-antico”, nel mezzo della campagna.

Buono il giro si antipasti con salumi e verdure varie, anche se la polenta con i funghi è da dimenticare. Non c’è una grandissima scelta di piatti, perlopiù “classicissimi” della tradizione mantovana, mentre le quantità sono piuttosto abbondanti. Non mi hanno convinto i maccheroncini panna, speck e radicchio.

Non credo esista una carta dei vini, ad ogni modo il rosso sfuso è potabile, nulla di più.

Onesto il prezzo: antipasto, primo e dolce, bevande e caffè… 20€

Voto 6

 

Agriturismo Salice – Via Confine Solferino, Grole di Castiglione d/S (MN)

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Il potare logora chi non lo sa

Vi pare possibile che per potare un viale alberato nei pressi di un’entrata di una scuola, si debba operare alle 8 del mattino, nel mezzo della processione di auto di i geitori accompagnano i figli alle lezioni?
Ieri in viale Marconi, operatori al lavoro che tagliano i castagni a cinque metri d’altezza. Camion e rami in mezzo alla carreggiata, tra auto incolonnate ed inutili ingorghi. Non si poteva attendere mezzora? Le studiano a tavolino queste soluzioni intelligenti, oppure si tratta solo di strategia negligente?
In colonna a 200 metri da casa. A volte non serve attraversare la tangenziale di Mestre né superare la barriera di Melegnano per perdere la pazienza.

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Buona forchetta – Hosteria dei Canossa

Tra le migliori ambientazioni. Atmosfera antica e nobile, tra pietre a vista e schiere di bottiglie pregiate. Si respira tranquillità e riservatezza.

Si possono trovare i piatti della tradizione mantovana o ricette un po’ più “nazionali”. Discreti i maccheroncini ai porcini e radicchio. Buono, ma quantitativamente scarso il filetto: nel dubbio scegliete quello al pepe, non quello all’aceto balsamico.

La carta dei vini è molto ampia, ma non aggiornatissima. Ci sono etichette del 2004, che il cameriere vi dirà essere “del 2005, anzi no… del 2006”; ma il prezzo non diminuisce. Non c’è vino sfuso, dettaglio importante per chi è certo di non finire la bottiglia. Io consiglio i vini della zona, di cui c’è ampia scelta (La Prendina, Ricchi, etc…). Dolci ottimi.

Caro il conto, soprattutto in funzione delle quantità. Un primo a testa, un solo secondo e dolce per entrambi sono costati 37€ a testa.

Voto finale: 5,5

Vinoteca Hosteria dei Canossa, vicolo Albergo, 3 – Mantova

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Lo strappo di Calearo

Dice il ministro rifondarolo Paolo Ferrero che l’idea di Veltroni della comunità del lavoro «è una classica idea di destra organicista, la traduzione del “siamo tutti sulla stessa barca” con i lavoratori che remano e Agnelli al timone». «Una stupidaggine», sentenzia: «La società è divisa tra chi sfrutta e chi è sfruttato». Quindi, come ha sancito Fausto Bertinotti, tra l’operaio scampato all’incendio della Thyssen e l’ormai ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo candidati insieme nel Pd, o è di troppo l’uno o è di troppo l’altro.  Per carità: potrebbero esserlo tutti e due. Nella prospettiva di un partito attento ai processi più nuovi della società, Antonio Boccuzzi ha oggi un altissimo valore simbolico dopo la catena di omicidi bianchi ma porterà in Parlamento la prospettiva di un lavoratore di un settore esausto e assai poco innovativo. Ed è fuori discussione che l’ex rappresentante degli industriali vicentini, che sono tra i pacchetti di mischia combattivi del Paese, è del tutto estraneo alla storia del centrosinistra. Non bastasse, ha sottolineato subito questa sua estraneità confidando di non aver «mai» votato da quella parte e infilando una serie di battute, a partire da «San Clemente» che hanno incendiato il dibattito come una torcia in un pagliaio.

Veltroni poteva trovare di meglio per aprire a quel Nord Est da decenni avaro di soddisfazioni per la sinistra? Può darsi. I mal di pancia dell’elettorato che si riconosce nel Pd sono forti. E nel rivangare un’infelice battuta del neo-capolista democratico sullo sciopero fiscale («a mali estremi…») crescono i sospiri di dissenso di quanti avrebbero preferito che Walter puntasse (ammesso e non concesso che accettassero) su altri cavalli, forse meno ruspanti e meno in sintonia con gli umori dei piccoli e medi imprenditori veneti, ma mai vissuti come «avversari», e tanto meno come «falchi»: Pietro Marzotto, Mario Carraro, Luciano Benetton.  Ma Veltroni voleva lo strappo. Netto. Carta vincente o carta perdente? Si vedrà. Al di là dei turbamenti democratici e dei veleni della destra che urla al «tradimento», le polemiche su Calearo dimostrano però ancora una volta tutti i limiti d’una certa sinistra nel capire il Nord Est. Basti leggere Liberazione.

Dove i settentrionali sono «prigionieri del benessere blindati nelle villette-bunker» contrapposti a «meridionali costretti a una nuova ondata migratoria verso i paesi di quelle villette». Uno stereotipo che fa il paio col modo in cui Alfonso Pecoraro Scanio sbertucciò le paure dei veneti dopo il massacro di Gorgo al Monticano: «Il tono del dibattito sulla sicurezza è ormai da barzelletta». E con l’idea di una società spaccata come una mela di Ferrero. Sia chiaro: il mondo è pieno di sfruttati e sfruttatori. E gli uni e gli altri vanno chiamati col loro nome: sfruttati e sfruttatori. Ma questa sinistra è convinta di conoscerli davvero, i «suoi» operai del Nord Est? Dicono le tabelle delle ultime politiche che i risultati ottenuti da Rifondazione in alcuni paesi ad altissima densità operaia della provincia iper-industrializzata di Vicenza sono i seguenti: 2,7% ad Arzignano, 2,7 a Carrè, 2,0 a Rosà, 1,8 a Rossano Veneto, 1,6 a Zermeghedo… Come mai? Forse le cose sono un po’ più complesse…

(Gian Antonio Stella – Corriere della Sera, 07 marzo 2008)  

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L’autogol del bomber

Il mitico Cigno di Utrecht ha ripiegato le ali, perdendo il fantastico candore della perfezione e riassumendo le sembianze grigie dell’uomo mortale. Per anni ho associato a Van Basten l’immagine del fuoriclasse puro ed immacolato, talmente grande da non potersi confondere a lungo in quel mondo di umani che non poteva meritarlo. Oggi il numero nove degli dei dell’Olimpo patteggia i suoi insuccessi col fisco. Precipita l’eroe dell’infanzia, il sogno del bambino, il ricordo della giovinezza.
Per una volta, non un goal da inserire nelle cineteche della nostalgia, ma una clamorosa autorete… pesantissima da digerire.

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