Silvio Berlusconi si è scottato con la borsa dell’acqua calda? C’è chi si è ustionato di più con la Legge finanziaria. Come le famiglie con figli down. Che ancora una volta si sono sentite tradite. Erano più di dieci anni che aspettavano che fosse riconosciuto a tutti i disabili, anche a quelli un po’ meno gravi che qualche lavoretto riescono a farlo, il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori. I quali vivono con l’incubo di morire lasciando i loro cari esposti alla vita quotidiana come ai flutti di un mare in burrasca. Avevano scritto a Tommaso Padoa-Schioppa e il ministro dell’Economia, turbato, aveva dato la sua parola: quel milione e mezzo di euro necessario, cascasse il mondo, sarebbe stato trovato.
Macché: all’ultimo momento la commissione bilancio della Camera, dovendo tagliare qua e là per far quadrare i conti, ha tagliato là: «Spiacenti, i soldi sono finiti». Una figuraccia. Imbarazzante. L’ennesima di un percorso governativo accidentato. E segnato da scivoloni. Prima la rimozione dal cda Rai di uno dei rappresentanti del centrodestra, quell’Angelo Maria Petroni che, sbrigativamente rimpiazzato con l’«indipendente» Fabiano Fabiani, ha vinto il ricorso per tornare al proprio posto. Poi la destituzione del comandante della guardia di finanza Roberto Speciale con procedure così sballate (a partire dalla «promozione » rifiutata alla Corte dei Conti) da esporre l’atto all’annullamento da parte del Tar. Poi ancora il «pacchetto sicurezza» che, mille volte promesso e rilanciato dopo il brutale omicidio a Roma di Giovanna Reggiani, finisce per venire talmente pasticciato, sia sotto il profilo costituzionale sia sotto quello politico con l’aggiunta dell’omofobia, da dover essere ritirato prima di essere esposto a nuove bocciature… Insomma, una via crucis. Della quale la Finanziaria, corretta in corsa anche nelle tabelle riassuntive dato che si sono accorti che c’era un errore di 345 milioni (!) è una stazione. Di spine e dolori. C’è chi dirà che, quanto a delirio burocratese, va già meglio dell’ultima volta. Quando i commi inseriti in un solo articolo per tagliar corto con obiezioni, emendamenti e ostruzionismi vari, furono 1.365, record planetario. Ed è vero: i commi sono scesi a 1.201, cioè 164 di meno e spalmati su tre articoli. Ma sono comunque più del doppio di quei 572 commi che nel 2005 costarono al governo delle destre un brusco richiamo di Carlo Azeglio Ciampi. E’ questo che intendeva Romano Prodi quando, sotto l’infuriare delle polemiche intorno al progressivo e mostruoso gonfiarsi delle leggi di bilancio (244 commi nel 1995, 471 nel 2002 o 612 nel 2006…) promise che quella di quest’anno, dopo la prima di «rodaggio», sarebbe stata «una Finanziaria snella»? Boh…
Certo è che, rispetto agli ultimi tempi della famigerata Prima Repubblica, quando la legge di bilancio introdotta nel 1978 diventò in pochi anni una creatura affetta da una spaventosa elefantiasi e si guadagnò da Giuliano Amato la definizione di «ultimo treno per Yuma» («Chi non sale rischia di restare definitivamente a terra. Di qui le mille spinte per infilarci dentro di tutto, grandi e piccole cose, dalla spesa sanitaria al rafforzamento della Rocca di Orvieto, dalla Valtellina al restauro delle mura di Ferrara») non sembra essere cambiato molto. Anzi. Certo, non ci sono più personaggi come Wilmo Ferrari, un commercialista veronese dalle lenti spesse come fondi di bottiglia che veniva chiamato «Wilmo la clava» per l’irruenza modello Flintstones con cui randellava tutto quello che poteva dar fastidio ai suoi elettori. E anche Teresio Delfino, che pure siede ancora alla Camera per l’Udc, non ha più la cocciutaggine piemontese di un tempo, quando nei giorni in cui stava nel suo collegio cuneese produceva mucchi di figli (fino ad arrivare a sette) e quando stava a Roma produceva mucchi di emendamenti, come quello indimenticabile che fissava: «l’accettazione delle scommesse sulle corse dei levrieri di cui alla legge 23/3/1940 n. 217 è consentita presso gli impianti di raccolta situati all’interno dei cinodromi… ».
Il senso della Finanziaria, però, è rimasto quello che Paolo Cirino Pomicino teorizzò un giorno, ironicamente, col nostro Dino Vaiano: una distribuzione di vol-au-vent. Uno stuzzichino a tutti, con «la dignità di un negoziato politico»: alla maggioranza e all’opposizione. Basti pensare ai due milioni di euro concessi a Treviso come prima tranche per il velodromo, fortissimamente voluto (nella speranza di avere i mondiali di ciclismo del 2012: auguri) dai parlamentari leghisti Gianpaolo Dozzo e Guido Dussin, che sono tra i promotori della società «Ciclisti di Marca» e hanno fatto della bicicletta agonistica uno dei cavalli da battaglia, scusate il bisticcio, della loro campagna elettorale. Direte: cosa c’entra il velodromo con la Finanziaria? Poco. Ma non meno delle nuove disposizioni fiscali sugli «spettacoli di marionette e burattini». O delle nuove regole erariali sui «cavalli, gli asini, i muli e i bardotti destinati all’alimentazione». O del «recupero delle ferrovie dismesse con piste ciclabili». O ancora della destinazione a Foggia di 2 milioni di euro per realizzare nella città pugliese, poco nota al mondo gastronomico nonostante la «Farrata» con la ricotta o la «tiella» di riso, patate e cozze, una sede distaccata dell’Autorità della sicurezza alimentare. Per non dire della cessione alla Russia della proprietà della chiesa ortodossa di Bari oggi di proprietà del Comune, il quale avrà in cambio dallo Stato italiano un edificio oggi caserma. O della detassazione degli utili reinvestiti nelle produzioni cinematografiche voluta da Willer Bordon e Gabriella Carlucci. O della norma che finanzia l’acquisto di idrovolanti destinati al collegamento con le isole minori. Tutte cose che, per carità, saranno utilissime, centrali, indispensabili.
Come ai tempi delle Finanziarie berlusconiane, apparve indispensabile l’autofatturazione per i ristoranti che acquistano tartufi da raccoglitori occasionali «non muniti di partita Iva». Ma resta la domanda: possibile che tutte queste cose debbano ogni volta finire nell’imbuto della Finanziaria? Facciamo una scommessa. Chiusa la faticosissima partita, c’è chi dirà: basta con queste finanziarie, questa sarà l’ultima. Ecco: vorremmo che almeno questo sfogo vecchio come il cucco, almeno stavolta, ci fosse risparmiato. E’ chiedere troppo?
Gian Antonio Stella (Corriere Della Sera 20 dicembre 2007)