Archive for ottobre 2007
Amici & narici
Il Congresso di Federserd, la federazione degli operatori pubblici delle dipendenze, annuncia un incremento di nasi rifatti in seguito al consumo di droga. Lista di attesa di un anno e mezzo per intervenire sulle mucose nasali bruciate dall’abuso di cocaina. “Granulomi sottocutanei, vasi sanguigni cicatrizzati e inservibili, riassorbimento dei tessuti: il naso del cocainomane è fortemente compromesso, la carenza di circolazione sanguigna manda in necrosi i tessuti, e l’operazione chirurgica a lungo andare è inevitabile”. Anche diecimila euro nelle cliniche private, gratis se si passa dal servizio pubblico. Non più solo vip annoiati e traboccanti di danari, ma gente di ogni estrazione, di ogni età.
Credere nella libertà, significa anche concedere la facoltà di incendiarsi il naso; ognuno faccia di se stesso “quel che vuole”. Ciascuno è anche libero di scialacquare i propri soldi come meglio crede, essendone padrone fino in fondo. Io i miei vorrei evitare di spenderli per rifare il naso ai drogati. Sovvenzionare col sistema sanitario nazionale operazioni di questa natura mi dà leggermente fastidio.
All’Asinara c’è un penitenziario praticamente abbandonato, ex lebbrosario. Io spedirei là tutti i cocainomani, a respirare aria buona.
Voglio Previti ministro
Vorrei svegliarmi una mattina e leggere sul giornale che Previti è diventato Ministro della Repubblica. Mi piacerebbe vederlo a capo della Giustizia. Per una rocambolesca legge del contrappasso, sarebbe curioso ritrovarlo a governare la sfera che tanto lo ha fatto soffrire.
A pensarci bene, qualche controindicazione potrebbe esserci. Se domattina, dopodomani, o in un qualsiasi futuro, Cesarone diventasse ministro, potremmo correre davvero qualche rischio serio.
1-Avremmo un facoltoso faccendiere a capo di uno dei più importanti dicasteri e questo non gioverebbe all’immagine dell’Italia. Un personaggio torbido e fumoso, votato alla ricerca del potere più che alla vocazione della giustizia e del bene comune.
2-Tra i suoi primi atti, ci sarebbero prescrizioni e perdoni; giusto per cancellare velocemente peccati e peccatori.
3-Cercherebbe prima di tutto di salvaguardare sé stesso ed il capo della sua coalizione, nella convinzione unica di difendere il proprio potere e custodire la posizione conquistata.
4-Si farebbe celia dei magistrati, screditando ogni atto giudiziario o invocando la legittima suspicione laddove i giudici iniziassero ad indagare sul suo conto.
5-Probabilmente ricatterebbe anche il governo, qualora si trovasse da solo a combattere contro gli attacchi delle toghe.
6-Ricorrerebbe alla demagogia populista, tipica di chi rimane disarmato a fronteggiare un’opinione pubblica pienamente convinta dei suoi misfatti.
7-Biascicherebbe di democrazia infangata, di regimi totalitari e di complotti ad personam. Rasenterebbe la commedia.
Ma queste ipotesi grottesche, inverosimili, e deo gratia surreali, sono legate a Previti. Mastella invece…
Mastella è anche peggio, perché non è affatto un’ipotesi.
Il lavoro mobilita l’uomo
Sono le 21 quando scendo le scale dell’ufficio. I gradini sono bui ed il silenzio avvolge i corridoi con un velo di inverosimile abbandono. Fuori, nella zona industriale pressoché deserta, il traffico dei lavoratori lascia il posto alla frescura umida del dopocena.
Per me non è una serata insolita, ma piuttosto una circostanza fantastica, lontana dalle ipotesi e dai progetti.
Il lavoro, spinto a questi eccessi non nobilita affatto l’uomo. Non lo eleva, atterrandolo pesantemente. Non gli conferisce alcuna virtù, alcun valore aggiunto.
Non sono rimasto davanti al terminale per amor di carriera. Perché in un’azienda dove ogni scala ascensionale è chiusa, sarebbe assurdo perdere questo tempo. Non mi sono intrattenuto con i colleghi per mire danarose. Il monte di ore straordinarie che sto accumulando in questo periodo mi ha fatto salire all’aliquota irpef di Briatore… insomma il gioco non vale affatto la candela.
Per spirito di responsabilità, forse. Per una questione di serietà, magari di coscienza.
Ci diamo tanto da fare, ci lasciamo spingere, muovere fino allo spasimo… ma a quale fine?
L’illusione democratica
Ebbi già modo di dimostrare i limiti intrinseci all’idea stessa di un neonato Partito Democratico. Nel post Né partito né democratico esposi dubbi e perplessità per un soggetto che non rispetta i canoni del partito, né quelli della democrazia. Oggi milioni di elettori si recano alle primarie, convinti ed illusi di detenere un grande potere democratico, da mettere a disposizione del nuovo soggetto politico. Nell’illusione democratica di possedere nella propria matita il potere di decidere chi lo guiderà, il popolo della sinistra moderata finge di non capire che tutto è deciso, confezionato, perfettamente predisposto. Si dovrà fingere che il nome di Veltroni è stato scelto dalla gente, non dai palazzi. Ma i cavalli buoni non sono al via. A mascherare la finta corsa rimangono la bardotta Bindi ed il modesto Letta, al fianco di altri illustri e balzani sconosciuti. I Prodi, i Rutelli, i D’Alema e gli altri ministri nemmeno si candidano: meglio non rischiare di oscurare la galoppata del Walter. La lista dei candidati è blindata: chi poteva accendere il dibattito è stato escluso a priori. Di Pietro e Pannela, disposti a sottoscrivere il programma, sono stati relegati in soffitta, democratica anch’essa. Il voto dell’ignaro elettore servirà solo a dare una parvenza democratica a questo atto d’imperio delle stanze dei bottoni, che hanno deciso di ripartire da Veltroni e chiedono una finta unzione popolare. Altro che democrazia, è il potere forte che per sopravvivere inganna la plebaglia, illudendola di avergli ottriato il potere decisionale. Nulla di nuovo, sveglia!
L’astuzia di Didone
La sceneggiata di Dida è di quelle che fanno vergognare. Di quelle che imbarazzano tutti, non solo i milanisti. Che umiliano e fanno inveire.
Io sono ancora innamorato della romantica idea che “i portieri devono essere italiani” e Didone non mi è mai piaciuto troppo. Lui, dal canto suo, non si è mai adoperato granché per rendersi simpatico. Il ghigno mesto ed arrabbiato lascia traspirare una certa insoddisfazione, che nel suo caso sembra suscitare l’impressione di instabilità ed incertezza. Mica poco per un portiere. I colti dei salotti bene definiscono questa insofferenza verdeoro col nome di “saudade”. Per me è solo una mancanza di carattere (per chi avesse dubbi… chiedere a Kakà).
Fino a mercoledì tutto questo poteva essere coperto dal capiente ombrello del fuoriclasse tutto genio e sregolatezza, dagli alti e bassi del campione che non ha mezze misure, che fa innamorare proprio perché fa anche soffrire. Poi la macchietta di Glasgow ha gettato un’ombra un po’ larga (già lui non è piccolissimo) e un po’ più scomoda.
Mi auguro che la punizione dell’Uefa sia esemplare per lui e per la società che ne ha assecondato la sostituzione. Di fantocci alti e tristi sinceramente non so che farmene.
Nella mitologia Didone era la leggendaria fondatrice di Cartagine. Avendo ottenuto di poter acquistare tanta terra quanto ne poteva abbracciare una pelle di bue, usò l’astuzia, tagliando la pelle in sottili striscioline e circondando un’intera collina. Il nostro Didone per una volta potrebbe usare l’astuzia e smettere di fare la vittima insulsa. Inizi a parare e magari diventerà un po’ più simpatico.
Mastella e i panni sporchi
Ho sempre avuto un’avversione razziale per il Ministro Mastella. Leader dell’Udeur e dell’equilibrismo politico, il Nostro si è sempre caratterizzato più per il trasformismo performante che per le battaglie politiche tout court. Se la classe politica italiana soffre di un cronico attaccamento alla poltrona, possiamo dire che Mastella cura con la colla il proprio malessere, finendo per essere un tutt’uno con la poltrona stessa. Comoda o scomoda che sia, l’importante è stare seduti.
Colpevole quanto e più di lui, è chi negli anni gli ha garantito spazio e vita. Con la manciata di voti dei suoi parenti è arrivato a capo di uno tra i più importanti dicasteri: in pochi sono riusciti meglio. A chi ancora non crede all’idea della casta, chiederei di spiegare la vita politica ed i meriti che hanno portato Mastella nel salotto delle istituzioni.
È di qualche mese fa la firma che ha acceso la fiamma dell’indulto, a dimostrazione che i piromani, se si alzano dalla poltrona, possono fare ancora peggio. Clemente nel nome, e un po’ troppo nei fatti.
Nei giorni scorsi, la puntata-inchiesta di Annozero ha palesemente screditato l’operato del Ministro, intento ad insabbiare le indagini scomode, più che a ricercare la Giustizia che dovrebbe presiedere. Giudici troppo curiosi allontanati dalle indagini allorquando arrivano a bussare alle porte sbagliate. Le controcampane della trasmissione non sono riuscite a confutare un solo argomento delle tesi accusatorie. Capitola la reputazione del Ministro e con lui quella della casta di governo. Ma l’indomani Mastella tuona e chiede provvedimenti contro Santoro, pena la sfiducia al Cda della Rai: robe da regime. Robe da totalitarismo imbavagliante. E Prodi, sulla stessa falsariga, appoggia il Suo Ministro. Lo stesso Prodi che aveva pianto lacrime quando la Banda Berlusconi, in una sorta di epurazione di sistema, aveva soffocato la voce di Santoro, oggi razzola peggio. Se allora fu un atto antidemocratico e dittatoriale, perché mai oggi dovrebbe essere lecitamente accettabile?
La verità è che le coscienze sono sporche, tutte quante, e questo spinge i politici a sopprimere i promotori della pulizia. L’impressione è che ancora una volta i panni si laveranno in famiglia. Mentre fuori, in cortile, si vedrà il solito bucato bianco, ben steso ed immacolato a prendere il sole.
Nel cielo d'Irlanda
E con tutto il mio amore represso nel cuore, ti dico addio!”
(J. Locke)
Nell’animo mi sono sempre sentito profondamente irish. È vero, e qualcuno lo ha già obiettato, che sono un tipo molto british. Il fatto è che sono british fuori, nel modo di apparire e di approcciare la vita. Il distacco, l’ironia e quella fastidiosa aria di superiorità non sono forse tipicamente inglesi? Ma nel sentimento, nella malinconia e nella romanticità delle parole, nell’amore per la genuinità e per la tradizione, nell’affetto verso le piccole gioie della vita e dell’amicizia… io sono irish, fino in fondo.
Riempie lo spirito, percorrere i prati e abbandonarsi alla frescura dell’aria. Perdere lo sguardo nel cielo che s’inventa un grigio mai visto, e poi respirare profondamente con la sensazione ancestrale di aver attinto ad un nettare divino. Parlare col mare e col suo impetuoso blu, per condividere la gioia e le tristezze, nel turbine inequivocabile di percepire una risposta. Percorrere le strade strette e ricurve è come entrare nella dimensione folle di un vortice che non ha tempo, dove lo spazio sembra infinito e la libertà diventa l’unica forma di natura. Guardarsi negli occhi nella vastità demarcata di un affollato pub, ascoltare il silenzioso suono del suo frastuono, che solo le situazioni magiche sa regalare. Questa è stata per me l’Irlanda, un viaggio di sensazioni e percezioni che hanno appagato la fame del mio spirito.
Mercoledì – La pioggia di Bergamo è mandata dal destino, le gocce sui vetri dell’aeroporto sembrano una somministrazione omeopatica per adattare i nostri spiriti alla transumanza d’oltre confine.
Dall’alto, la foce del fiume Shannon apre le sue braccia d’acqua al nostro arrivo, mentre un timido sole fa capolino tra le nuvole cariche di grigio.
Le prime foto sono tutte per i resti della Quin Abbey, uno dei tanti conventi francescani nati nel tardo medioevo e distrutti dal trascorrere del tempo. Acclimatati nel vicino pub di fronte ad una Smitwick’s rossa, ci avviamo verso Knappugue Castle, perfettamente anonimo nel suo genere. Virata verso nord ovest. Sulle sponde dell’Atlantico, dove le terre calpestate da arrembanti bovini si ergono veementi sul mare cobalto, incontriamo la bellezza più esclusiva del viaggio, le Cliffs of Moher (foto sotto). Enormi scogliere a picco sull’oceano, che mozzano il respiro e richiamano subitanee la grandezza dell’Onnipotente. Si ha subito l’impressione di aver toccato l’apice del viaggio. Guardo gli occhi Giorgio inebriati da tanta grandezza e gli chiedo: cosa può esistere di più grandioso?
Serata nel piccolo e suggestivo villaggio di Doolin.
Giovedì – Ci svegliamo guardando il mare e la sparuta manciata di case che sovrasta il litorale. Abbandoniamo da subito l’idea di raggiungere le isole Aran, poiché il tempo troppo spesso impone delle scelte. Le isole sono famose anche per i maglioni di lana grezza e si racconta che le mogli dei pescatori li fabbricassero per i mariti con ogni sorta di fantasia, in modo che se fossero stati inghiottiti dall’impeto del mare, sarebbe stato facile riconoscerne i corpi anche dopo molti giorni di deriva. A Sud di Galaway, incontriamo il Dunguaire Castle, che riporta alla mente il seducente Eilean Donan, a nord di Edimburgo.
L’ingresso nel Connemara segna l’approdo ad una nuova dimensione. Paesaggi incantati e colline rosse, intervallati da laghi di lapislazzuli e cumuli di torba. Qualche casa qua e là ci ricorda che siamo ancora in un pianeta di umani.
Entriamo nella fortezza di Aughanure Castle, lambita dai raggi del sole e dai vasti prati. Un cane da caccia scorazza tra i muretti a secco, regalandoci un’altra immagine dell’Irlanda che t’aspetti.
Sull’oceano, la spiaggia caraibica di Lettermullan ci fa passeggiare sui coralli: è stupefacente vedere la mutevolezza di questi luoghi. La serata scivola nei pub di Galaway, tra le vie colorate, la musica dei violini e le buone birre. La città che ospita il Festival internazionale dell’ostrica non può esimerci dall’assaggiare il piatto locale. Troppo azzardato l’abbinamento con la Guinness, ma paese che vai, usanza che trovi…
Venerdì – Restiamo delusi dal consiglio della guida sul paesino di Adare. Quattro tetti di paglia non possono costituire “il villaggio tipico dell’Irlanda”. Tutt’altra sensazione di fronte alle rovine del convento domenicano di Killmallock, dove l’eterno connubio tra i grigi della viva pietra ed il verde dei pascoli rigogliosi appaga anche gli sguardi più esigenti. La cena è a Killarney, con uno splendido filetto al sangue, mentre si gufa contro i cugini gallesi, impegnati in un match di rugby contro le Isole Fiji.
Sabato – Iniziamo il Ring of Kerry, percorso obbligato per chi visita le coste gaeliche, consapevoli che le nostre deviazioni dall’itinerario standard accresceranno lo spessore del viaggio. La vasta baia nei pressi di Glenbeigh sembra uscita da una pubblicità. Qui l’oceano non ha né limiti, né traguardi e ti senti piccolissimo nel bel mezzo dell’immensità. Poi le strade ad arco ci scagliano come frecce impazzite verso panorami inesauribili. La costa frastagliata nasconde a tratti insenature riparate o manipoli di case bianche, mentre altre volte mostra isolette lontane ed inarrivabili.
Spossati ci buttiamo nel centro di Cork alla ricerca di una sistemazione, ma il traffico caotico e la scarsa disponibilità di alloggi ci fanno desistere presto. Stremati, ripieghiamo verso sud, ancora una volta ascoltando il richiamo del mare. Kinsale, abbarbicata attorno al suo porticciolo è la più classica delle cittadine marittime. E metaforicamente rientriamo a riposare nel nostro porto, dopo una lunga giornata di furiosa bufera.
Domenica – Rapida visita ancora all’abitato di Kinsale, capitale gastronomica d’Irlanda e teatro di una storica battaglia tra Irlandesi ed Inglesi. Il vicino Charles Fort, fortezza seicentesca tra le meglio conservate d’Europa, dona all’atmosfera un accattivante tono militare con bellissimi panorami e una mordente decadenza. Veloce passeggiata nell’insipido centro di Cork e visita alle carceri del Cork City Goal completamente al di sotto di ogni attesa. Riprendiamo la marcia attanagliati dalla delusione.
Nel paesino di Cahir, prima di scattare qualche foto al castello, ci concediamo la sfida di rugby Irlanda – Argentina, in mezzo al tifo degli abitanti locali. Il pub che trasuda di birra e di passioni ci ospita con affetto ed orgoglio. La sconfitta della nazionale non intacca l’entusiasmo e la gioia dei supporters. Il terzo tempo, da giocare tra pinte schiumose e frasi strampalate, è un’emozione senza eguali.
A Cashel troviamo velocemente un’ottima sistemazione, proprio ai piedi della rocca che visiteremo l’indomani.
Lunedì – Rock of Cashel si erge maestosa sopra l’omonimo paese. Le mura circondano quel che rimane della fortezza e dell’abbazia. In mezzo all’imponenza degli edifici del potere, una piccola cappella romanica si ritrova circondata da tombe e croci celtiche. Uno sguardo d’insieme è l’ennesimo ricordo del furore di Cromwell.
Nel pomeriggio deviazione inutile al monastero di Kell, poi arrivo a Kilkenny. L’ennesima sosta al pub ci preclude l’accesso al castello. Solo la buona musica della sera ci ripagherà dello scotto subìto.
Martedì – C’è tempo solo per una fugace visita al monolite più grande d’Europa (il Browne’s Hill Dolmen), tanto grande quanto deludente, e per fare due passi nell’ormai conosciuto quartiere di Temple Bar a Dublino.
Il cuore è carico di colori, odori ed emozioni. Resterà praticamente tutto.