Viaggio in Andalucia


Vamos a la playa todos con sombrero
el viento radioactivo despeina los cabellos

(I Righeira – Vamos a la playa)

L’Andalucia è un territorio incantato, effervescente; un luogo dove la cultura della Spagna cattolica si mescola a quella dell’Africa islamica. Regione di frontiera, spruzzata dai mari, dai venti e da tanto sole. Dicono sia la Spagna “vera” e più tipica. Noi l’abbiamo trovata affascinante e suggestiva.
Abbiamo cercato di assaporare l’aria andalusa toccando alcune città e paesi, ma non abbiamo saputo resistere alla tentazione di fermarci al mare, per ritemprare fisico e mente, e per godere appieno del clima meraviglioso.
Dopo la scelta sempre vincente della formula “fly & drive”, questo è stato il nostro itinerario.

Martedì: Siviglia, l’elegante.
Approdare nella più grande città andalusa ci lascia subito esterrefatti. Fatichiamo a trovare parcheggio nelle trafficatissime vie del centro ed inizio già a pensare che la vacanza sia partita col piede peggiore. Mi conoscete: scrupoloso calcolatore di situazioni, meticoloso programmatore di tempi. L’idea di perdere minuti preziosi nella rincorsa al traffico mi innervosisce (n.b. le cose che mi rendono più nervoso sono il traffico e la fame. Immaginatemi sveglio dall’alba, digiuno, verso le 13, imbottigliato in una città straniera). Come accade sempre, la situazione si risolve presto. Troviamo anche un ottimo hostal, proprio a due passi dalla cattedrale, in Avenida de la Constitucion. Una chiesa magnifica e suntuosa. Saliamo anche sui 90 mt della Giralda: il panorama sulla città toglie il fiato. Le piazzette colorate sotto di noi sembrano sfumare e dissolversi nelle strette vie che escono dalla città. È bello girovagare per il centro, senza avere alcuna meta se non quella di “respirare” quanta più aria possibile di questa elegante città. I viali enormi ci accompagnano nell’imponente Piazza di Spagna. Edifici di pietra rossa, splendidamente ornati di ceramiche bianche e blu: un trionfo per la vista e per l’estetica. Facciamo un giro nel quartiere Barrio de Santa Cruz, per iniziarci al decantato rito delle tapas. Rimaniamo un po’ delusi… ci aspettavamo una cucina decisamente migliore. Un giro notturno ancora nel centro, poi a letto.
Vorremmo trattenerci ancora a lungo, ma ci attendono altre mete. Partire suona quasi come una violenza. Ma abbiamo deciso di “assaggiare” poco di molto, non molto di poco.

Mercoledì: Cordoba, la rurale.
L’auto affidabile ci consente di raggiungere velocemente Cordoba, meta più a nord del nostro itinerario. Troviamo facilmente un hostal a due passi dalla Mezquita. Prima di pranzo cerchiamo di orientarci. Vicoletti colorati si snodano attorno alla moschea-cattedrale, emblema della città. Vaghiamo nel giardino arabeggiante, tra rigagnoli d’acqua e piante d’arancio. Entriamo nella Mezquita e ci pare di essere approdati in un’altra dimensione. Un po’ come nei film fantastici, quando superando un muro magico si entra in un mondo irreale. È la sintesi perfetta della guerra tra Islam e Cattolicesimo, crogiuolo suntuoso di culture e religioni contrastanti. Il susseguirsi degli archi fa girare la testa e se non fosse per il via vai di turisti si coglierebbe anche una dimensione di antica e profonda spiritualità. Quella spiritualità che supera i confini delle religioni, che avvicina l’uomo a Dio, qualunque Dio sia.
Torniamo a perderci nuovamente nel dedalo del quartiere ebraico della Juderia, tra le zingare che ci offrono rametti portafortuna, fontane nascoste, giardini privati e negozi coloratissimi. Cena all’ottimo Museo delle Tapa y del Vino, poi una passeggiata oltre il ponte del Guadalquivir, per fotografare la Mezquita anche di notte.

Giovedì: Granada, la fascinosa.
Nel tentativo di raggiungere una zona centrale ben definita dove parcheggiare, mi ritrovo in macchina nel quartire arabo dell’Albaicin, costretto a ripiegare gli specchietti per poter passare tra le case propotentemente a ridosso degli angusti vicoli. Un susseguirsi di salite e discese, che portano chissà dove e chissà come. Anche qui la fortuna ci sorride: troviamo parcheggio e un bellissimo hostal proprio sotto l’Alhambra, a pochi minuti dalla cattedrale. Iniziamo subito la ripida salita che tra stretti vicoli e suggestive gradinate porta al palazzo-fortezza. Immenso. Due ore non bastano per visitare bene tutto il complesso. Palazzi con interni magnificamente rifiniti, torrioni difensivi, fontane e giardini splendidamente rigogliosi. Vasche e giochi d’acqua impressionanti per l’epoca della progettazione. L’Alhambra, che dall’alto della rupe domina Granada, ci regala un panorama su tutta la città. Torniamo a piedi nel quartiere arabo, per fotografare la fortezza in tutto il suo splendore. Ancora a piedi tra i vicoletti moreschi, prima di cenare e andare a dormire. Rimarrà il ricordo del gazpacho, che incuriosito ho deciso di ordinare, ma che schifato non sono riuscito a terminare.
Dedichiamo l’intera mattinata al centro storico che gravita attorno alla cattedrale. Imponente tra le case, non la ricorderemo come la migliore delle chiese. Pomeriggio, è tempo di ripartire.

Venerdì: Ronda, la misteriosa.
Ci spingiamo verso l’atlantico, per avvicinarci alla meta marina che vorremmo raggiungere. La distanza è troppo elevata e occorre fare una tappa intermedia: la cittadina di Ronda fa proprio al caso nostro. La strada panoramica tra le montagne della Serrania de Torrecilla, ci regala alcune foto, tra cui il castello di Teba.
Dopo i fasti e le confusioni delle grandi città appena viste, abbiamo bisogno di ridimensionarci. Ronda è un centro relativamente piccolo, ma non meno affascinante dei precedenti. È costruita a picco, sulle due sponde del fiume Tajo, sospesa a 100 mt dall’acqua e collegata da due bellissimi ponti. Si respira un’aria strana, una miscela di fascino e mistero. A vederla di primo acchito, la panoramica della Ciudad dal Ponte Nuevo risulta quasi sinistra. Storie di battaglie e di costruttori morti nel baratro di quel fiume che scorre in fondo, lontanissimo, incrementano ancor di più la sua seduzione. Plaza del Socorro ci ricorda ancora una volta i paesini siciliani, laddove è ancora vivo l’influsso moro. Entriamo in una delle più antiche e prestigiose plazas de toros, raccogliendo un pugno di arena che si aggiungerà alla mia collezione di “sabbie preziose”. Cena a base di pesce come Dio comanda, alla Marisqueria Paco. Alla sera un giretto per la Ciudad araba.

Sabato: Zahara de los Atunes, il vero mare nostrum.
Sappiamo che il mare che incontra i nostri gusti non appartiene alla Costa del Sol, deturpata pressochè ovunque da abusivismo edilizio, cementificazioni selvaggie e orde di insopportabili turisti. A questo pro abbiamo deciso di raggiungere l’Atlantico, laddove esiste ancora un po’ di natura, dove le spiagge si alternano alle scogliere, dove il vento soffia forte ed il sole non tramonta mai. La presenza esclusiva di spagnoli ci convincerà successivamente che la nostra scelta non è sbagliata. Tutt’altro. Per raggiungere la meta ipotizzata di Zahara, dove non abbiamo prenotato nulla (come tutto il viaggio del resto), decidiamo di percorrere la panoramica verso sud, verso la Costa del Sol. Un susseguirsi di pueblos blancos (villaggi bianchi) ci offre un’ulteriore e stupenda dimensione della Spagna. Incontramo Benadalid, Algatocin, Gaucin ed il magnifico Casares. Pugni di case bianche nel rigoglioso verde delle montagne del Parco di Alcornocales.
Arriviamo a Zahara. Ci basta un’occhiata al mare ed al paesino per convincerci. Resteremo qua fino al termine della vacanza.
La spiaggia di dodici chilometri è limitata da scogliere bellissime. Le rovine di un castello moresco ed alcuni fortini della seconda guerra mondiale (immagino prevenzioni inutili realizzate per il D-day) aggiungono un po’ di storia alla bellezza del luogo. Il sole sembra non tramontare mai sulla Costa della Luz. Sono le 21.45 quando fotografo il primo tramonto. Rimarrà chiaro fino alle 22.30. Soffia un vento forte, a tratti fastidioso, ma che a me sembra stupendo. I pochi turisti, che macchiano di tanto in tanto l’enorme spiaggia, si riversano di sera nella miriade di ristoranti. Non credo ai miei occhi: sono capitato in un paese di ristoranti. Nessun negozio (solo qalche piccolo market e farmacia), ma tantissimi luoghi dove mangiare. Il paradiso, un po’ lo immagino così.

Mercoledì: Gibilterra, doverosa finzione.
Come intermezzo alla vacanza decidiamo che non possiamo rinunciare ad una visita a Gibilterra. Si trova ad un’ora di macchina, un’occasione unica ed irrinunciabile.
Dopo i controlli di rito, necessari per calpestare il suolo inglese, attraversiamo la pista dell’aeroporto che taglia la penisola. È strabiliante vedere il semaforo che blocca pedoni ed auto in caso di passaggio di aerei. Saliamo con un pulmino alla rocca. Il piccolo castello, le grotte e l’infinità di macachi non valgono assolutamente il viaggio. Mi consola il panorama, la vista del Marocco, la sensazione di calpestare una delle famose Colonne d’Ercole. Il centro città è una deludente riproduzione del paesino medio inglese. Pub dallo stile anglo, cabine telefoniche londinesi, streets dai nomi di politici britannici contribuiscono ad alimentare questo mito per i turisti. Ne esco un po’ deluso, ma felice di aver visto personalmente la reltà di Gibraltar.

Venerdì notte: Arcos e Carmona, tappe del ritorno.
Abbandoniamo Zahara la sera di venerdì. Il volo da Siviglia di sabato mattina ci spinge a trascorere la notte in viaggio, magari toccando qualche altra veloce meta.
Nel tragitto facciamo sosta ad Arcos dela Frontera, arroccata splendidamente sul crinale di una montagna. Il centro medioevale è molto bello. Abbiamo poco tempo… toccata e fuga.
Raggiungiamo Siviglia, ma mancano ancora alcune ore al volo. Ad una ventina di km dall’aeroporto conosciamo l’esistenza della città di Carmona. È notte fonda, ma torme di giovani ci ricordano che in Spagna la movida è un’istituzione. La Porta di Siviglia ci accoglie maestosa per l’accesso alle mura della cittadina, sorta proprio sulla via Augusta che collegava Roma a Cadice. È l’ultimo suggello di questo splendido viaggio.

Ronda (foto mia)

  1. #1 by Erica at 11 luglio 2007

    Con l’ausilio del tuo reportage fotografico a supporto del piacevole ed essenziale racconto, sembra di ascoltare la bella trasmissione televisiva: “Alle falde del Kilimangiaro”.
    Questa sorta di diario ti permetterà, un giorno, di raccontare ai tuoi figli le tue vacanze itineranti, quando, un giorno ancora più vicino, loro stessi non ti permetteranno più di farle.

  2. #2 by paio at 11 luglio 2007

    > un giorno ancora più vicino, loro stessi non ti permetteranno più di farle.

    è uno scoop?

    Baù con tanti piccoli silvietti?

    c’è da aprire una bozza!

  3. #3 by admin at 11 luglio 2007

    Noto con piacere che tra noi c’è un umorista.
    Piuttosto… mentre spulciavo tra i testi delle canzoni da provare con la chitarra (per dare un minimo di soddisfazione proprio a quello stesso umorista, il Paio), ho trovato una citazione dei Righeira ed ho provveduto ad aggiungerla in capo al pezzo. Mi rendo conto che non sia il massimo della riflessione culturale cui siete abituati, ma era tanto azzeccata da non poter essere lasciata nel dimenticatoio di txt qualunque.

(non verrà pubblicata)

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