Genesi di una mostra


Conobbi don Daniele in prima media. Rimase nella nostra parrocchia fino a quando io e i miei amici ci addentrammo nella buia selva delle scuole superiori. Anni strani. Bambini che diventavano adolescenti, adolescenti che volevano già essere adulti. Caratteri da formare, alla continua ricerca di esempi da seguire ed immagini da contestare. Cercavamo persone con le quali confrontare schiettamente le nostre passioni ed i nostri sogni, menti aperte in grado di ascoltare i nostri disagi ed i piccoli grandi problemi che l’adolescenza porta inevitabilmente con sé.
A tredici anni riconoscevo in don Daniele l’autorità perfetta, la guida sicura e giusta. Vedevo l’uomo che sapeva motivare le mie scelte, valorizzare le mie doti, parlare alla mia anima. Il sacerdote giusto al momento giusto. Poi un po’ di delusione, quando lo vidi precocemente lasciare la nostra comunità per raggiungere la missione in Etiopia. “Pazienza”, dissi. “Certo che tra tutti i sacerdoti che ci sono, proprio lui dovevate mandare fin laggiù?
Anni dopo, di fronte alle nuove e diverse pieghe della vita, capii che don Daniele fu molto più di tutto questo. Gli bastarono pochi anni per tracciare il solco del mio carattere. “I frutti”, come diceva lui, “li avrei raccolti dopo”. La sua morte, repentina all’età di 43 anni, mi sconvolse la vita. In un continuo flash back, rividi tutte le nostre conversazioni, trovando molte risposte ai miei nuovi problemi, quelli che lui non aveva neppure fatto in tempo a conoscere. Ripensai che quando ancora ero bambino, lui mi aveva già preparato ad affrontare il mondo degli adulti. Aveva eretto fondamenta che un giorno sarebbero state la base di una costruzione più grande. Ringraziai Dio per questo, per l’immenso dono di quell’uomo grande, che la Provvidenza mi aveva concesso di conoscere. Mi arrabbiai con lo stesso Dio, colpevole di averlo allontanato da Volta e di averlo poi preso definitivamente con sé. Troppo presto.
A dieci anni dalla sua morte, l’allestimento di una mostra.
Non vuole (almeno nelle mie intenzioni) essere un modo per ricordarLo, ma per ricordarCi. Chi ha avuto la grazia di condividere un percorso con don Daniele, non ha bisogno di espedienti per ricordarsi di lui. La sua grandezza, celebrata ovunque ed indimenticabile per definizione, rimane un’immagine indelebile: patrimonio comune e personale allo stesso tempo, che nessuno ci toglierà mai. Noi abbiamo invece la necessità di rivederci, di riviverci, di ricordarci come eravamo quando vivevamo alla sua ombra. Rivedere noi stessi al fianco di don Daniele ci aiuterà a capire molto e di più della nostra vita.

Ringrazio per questa mostra Gianluca, che seppur latitante sul piano pratico, ha avuto il merito di coinvolgere la mia curiosità, sollecitando come sempre le giuste molle delle mie motivazioni.
Ringrazio il Paio, che ha fatto la maggior parte del lavoro, catalogando e perfezionando le immagini reperite qua è là nei ricordi privati delle persone. Tutto questo, come sempre, a discapito di attività economicamente più redditizie.
Ringrazio Andrea Mazzi, che anche all’ultimo minuto ci ha dato il prezioso e fondamentale supporto tecnico per realizzare meravigliosi pannelli per l’esposizione. Fare le ore piccole insieme nel suo laboratorio, ha dato un sapore speciale a tutto il lavoro.

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