La questione immorale


Dice bene Marco Travaglio quando afferma che se non fosse per il precedente illustre di Berlusconi, il guazzabuglio DS-Unipol-Coop Rosse basterebbe da solo per chiedere le dimissioni dei celebri interessati e mandare a casa un governo. Tuttavia il conflitto d’interesse del Cavaliere, mastodontico e perpetrato nel tempo, oscura la gravità dell’”illecito rosso”, facendolo apparire esile, risibile e quasi giustificabile.
Evidentemente solo la nostra Banana Republic può permettersi un arco parlamentare completamente in conflitto d’interessi, senza soluzione di continuità né geografica (da destra a sinistra), né temporale (si resiste ad libitum. Dimissione? Chi è costei?).
Aitanti manager con amicizie importanti e dubbie, segretari di partito dal telefono intasato, guardie di Finanza alla caccia degli uni e in fuga dagli altri. Che panorama è questo?
Si è parlato da più parti di una rinnovata “questione morale”, facendo riferimento ai limiti etici e deontologici che la politica dei nostri giorni quotidianamente infrange e valica. Ormai… repetita stufant. Ed ancora una volta, innanzi alle accuse dell’opinione pubblica unita nel decretare il proprio disappunto, e davanti all’oggettività del proprio illecito, la classe politica si ritrova concorde nel fornire risposte errate. Di fronte alla divulgazione delle intercettazioni compromettenti, quelle di oggi come quelle di ieri, la politica non si sforza di interrogarsi e di auto-rigenerarsi, ma si limita ad imbavagliare i giornalisti.
Questa non è incapacità, né cecità. Al contrario, si tratta di pianificazione ed attenta lungimiranza. Si tratta di un piano strategico per sopravvivere, per mantenere lo status quo: cambiare significa mettere in crisi posizioni e privilegi. Perché mai dovrebbero farlo?

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