Su istigazione intellettuale di Ruggero, ho letto attentamente tutto il discorso di Montezemolo all’ultima assemblea di Confindustria. L’appello del numero uno degli industriali disarma per la sua semplicità logica, seduce per la completezza dei contenuti e la pacatezza dei toni, ammalia per la condivisione degli argomenti. Non si può, insomma, non essere d’accordo. L’apostrofe alla politica degli sprechi e delle clientele, al circo infantile dei partiti, all’immobilismo dei burocrati cariatidi, è un sentimento che permea la società italiana in ogni suo strato. È il buonsenso che impone la critica ad un Governo ancora troppo statalista, che strizza l’occhio agli statali, ma non risponde ai cittadini e ad un’opposizione disfattista e vittima del suo stesso “essere contro”. Sarebbe lungo commentare ogni argomento, mi posso limitare a dire che la critica e la proposta di Montezemolo centrano perfettamente il bersaglio. Ben vengano, insomma. Mi pare tuttavia che il Nostro pecchi talvolta di ridondante retorica: ne deriva un rischio piuttosto concreto di scivolare nel populismo più becero. Non vorrei che attaccando in tutto e per tutto la classe politica (cosa di per sé lecita e, come detto, condivisibile) si arrivasse a cavalcare l’onda dei sentimenti strumentalizzando il malessere diffuso della società civile. La dico in modo più agreste: criticare tutti per raccogliere consenso ovunque. Sarebbe scorretto. Uso il condizionale perché a catechismo insegnano che i processi alle intenzioni proprio non si fanno. Nella lunga e, ripeto, completa digressione, Montezemolo si dimentica di due elementi poco trascurabili per il risanamento del Paese. Toccando ogni aspetto e scovando ogni ricetta, tralascia due temi che dovrebbero sfiorarlo più da vicino. Non parla dell’evasione fiscale, che le imprese, di cui si fa portavoce e guida, quotidianamente praticano perpetrano. Sanare questa piaga, che le “sue” imprese contribuiscono a incancrenire, risulterebbe utile alla causa comune. E non mi si argomenti che lo Stato troppo opprimente costringe ad evadere. I circoli viziosi si interrompono se uno degli elementi cade e capitola. Se tutti si giustificano, il circolo rimane vivo. Poi Luca Cordero non fa alcun accenno alle mega pensioni e stipendi dei manager. Si potrà facilmente ribattere che sono meritate. Ma allora il politico di lungo corso potrebbe comodamente dire che anche la sua pensione d’oro è meritata… e a questo punto chi potrebbe contraddirlo? Infine l’omelia sulla meritocrazia non cozza contro le clientele che i grandi manager mettono in atto nella loro giungla di protezioni e poteri incrociati? È forse un merito che gli stessi manager comandino dappertutto? E come è possibile che questi meriti si trasmettano geneticamente attraverso il diritto di sangue? In definitiva, tutto quanto detto da Montezemolo è sposabile e sostenibile. Mi sarebbe piaciuto che avesse attaccato la propria categoria con la stessa enfasi con la quale ha sbirciato nel giardino altrui.
L’omelia di padre Luca
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