Domenica è stato indetto il “referendum day” per dare un’impennata alla raccolta delle firme. Mi è venuto in mente che avevo conservato un articolo di una ventina di giorni fa. Lunghissimo ed a tratti molto tecnico. Ma se, come a me, vi piace l’argomento, direi che le motivazioni sono valide e condivisibili.
Da due giorni è iniziata la raccolta delle firme per il referendum: non credo che si tratti di una buona notizia. Sono fermamente contrario alla legge Calderoli, che ho duramente avversato in Parlamento e, proprio per questo, non condivido questo referendum che, in realtà, non ne chiede l’abrogazione ma una modifica, anzi, a mio avviso, una lieve modifica. Del referendum si parla sotto due diversi profili: da un lato come pressione sul Parlamento perché approvi una legge elettorale nuova e diversa (sottolineo diversa) e, dall’altro, il quesito referendario, vale a dire la normativa che produrrebbe se approvato. Questo secondo aspetto va divenendo, in realtà, sempre più prevalente e da esso occorre partire. Frequentando i luoghi Comuni di vita quotidiana è facile percepire che la profonda e diffusa avversione verso l’attuale legge elettorale si fonda su tre motivazioni: in primo luogo le liste bloccate, che sottraggono agli elettori non soltanto la scelta ma anche la semplice conoscenza dei candidati; il meccanismo che condanna il Senato a maggioranze risicate o inesistenti, rendendo instabile qualunque governo; la frammentazione fra tanti partiti cui questo sistema proporzionale consente una presenza parlamentare consistente, producendo maggioranze poco compatte se non litigiose. Ebbene, come è stato scritto su questo giornale, il referendum agisce soltanto sul terzo aspetto, alzando le attuali soglie più basse di sbarramento e conferendo il premio di maggioranza a un sola lista e non più a una coalizione. Di questo va dato atto, a condizione di ignorare la facile previsione di listone unico per ciascuna coalizione, che poi si dividerebbe subito in diversi gruppi parlamentari, e i dubbi di costituzionalità provocati dalla mancanza di previsione di una soglia minima di consensi per ottenere il premio della maggioranza assoluta alla Camera. A parte le riserve sull’efficacia di questa unica modifica, quindi, il referendum lascia inalterati i primi due vizi fondamentali, liste bloccate e Senato senza vera maggioranza: il cuore della legge Calderoli. Se il referendum venisse celebrato e avesse successo, questo sistema, sancito dal voto popolare, ne sarebbe consacrato e avremmo per lunghi anni un sistema che impedisce ai cittadini di scegliere i parlamentari e produce governi instabili. La legge Calderoli, ideata per avvelenare i pozzi della prevedibile vittoria del centrosinistra, diffonderebbe i suoi veleni anche per le legislature future. Il referendum, come si è detto, è visto anche sotto un’altra luce, quella della pressione nei confronti del Parlamento e dei partiti per una nuova legge elettorale. Questo profilo è fondato: che alcuni partiti, particolarmente i più piccoli, adagiati sul sistema vigente, siano ora disponibili a una nuova legge è dovuto, soprattutto, al timore di soglie di sbarramento più alte. Ma via via che dalla “minaccia” del referendum ci si avvicina alla sua effettiva celebrazione, quella disponibilità è soverchiata da un diverso e più forte interesse di altri partiti: lo scioglimento delle Camere. Come insegna, fra l’altro, il precedente dei ‘93, l’intervento diretto del corpo elettorale che modifichi, anche soltanto in parte, il sistema elettorale, delegittima il Parlamento in carica e induce – direi obbliga – il Presidente della Repubblica a indire nuove elezioni. Nel ‘93 il referendum introduceva il maggioritario per il solo Senato e, lasciando la Camera con un incompatibile sistema proporzionale, richiese che si assicurasse anche a questa il metodo maggioritario e il Parlamento rimase in carica soltanto 11 tempo necessario per approvare la nuova legge e formare i collegi uninominali: il referendum odierno lascerebbe un sistema pronto, con premi di maggioranza in entrambe le Camere, sistema strampalato e inefficiente ma, comunque, applicabile subito. Queste condizioni offrono ai partiti maggiori del centrodestra la prospettiva politica di elezioni anticipate ed essi sono facilmente in grado di impedire, apertamente o meno, qualunque accordo, visto che, lodevolmente, il presidente del Consiglio, Prodi, ritiene che si possa procedere in Parlamento soltanto con larghe intese: l’avvicinarsi della celebrazione effettiva del referendum farà crescere questo interesse e la funzione referendaria di pressione sul Parlamento per una nuova legge si trasformerà sempre di più, verosimilmente, in fattore di dissuasione, i cui segni già si manifestano nella “melma” tattica che viene messa in campo in questi giorni. Temo, quindi, che sia cominciato, con la raccolta delle firme, l’effetto frenante per una nuova legge in Parlamento, come sarebbe, invece saggio. Il tempo, quindi, è questo; ed è breve. Non ci si può illudere che vi sia una possibilità per il Parlamento dopo l’eventuale successo del referendum: a quel punto ognuno direbbe la sua, come avvenne nel ‘93, sull’attuazione dell’autentica volontà dell’elettorato e, come si è detto, il capo dello stato dovrebbe indire nuove elezioni. Il tempo è questo e, si ripete, è breve; e la sede è il Parlamento, come ha ricordato ieri il presidente della Camera. Soltanto in Parlamento si potrebbe incidere davvero sulla frammentazione parlamentare, che con la legge precedente era stata contenuta, limitando a cinque i partiti che avevano superato lo sbarramento del 4%. Non basterebbe una correzione più o meno apparente della legge Calderoli: occorre modificare le norme delle Camere sulla costituzione di gruppi parlamentari e, soprattutto, occorre modificare la legge sul finanziamento dei partiti che distribuisce troppi soldi e a troppi soggetti. Nel merito della legge è bene attendere la faticosa opera del governo e ciò che approderà alle Camere, senza aggiungere altro alla già copiosa e talvolta fantasiosa serie di ipotesi. Credo che ci si possa limitare a far notare che il premio di maggioranza costituisce un collante di scarsa tenuta mentre è il collegio uninominale, nella assunzione di responsabilità di ciascun eletto con il comune elettorale di coalizione che garantisce, a questa, coesione adeguata. Nei giorni scorsi la scelta, coraggiosa e innovativa, di dai vita al Partito democratico, sembra aver stimolato un fenomeno aggregativo anche in altre aree politiche: occorre incoraggiarlo, con decisione ma senza forzature, senza pensare di poter mettere le briglie alla politica. Rendendosi conto che, spesso, quelli che appaiono toccasana fanno precipitare verso esiti imprevisti e indesiderati.
(Sergio Mattarella, deputato dell’Ulivo – Il Mattino 24 aprile 2007)