Archive for maggio 2007
L’omelia di padre Luca
Su istigazione intellettuale di Ruggero, ho letto attentamente tutto il discorso di Montezemolo all’ultima assemblea di Confindustria. L’appello del numero uno degli industriali disarma per la sua semplicità logica, seduce per la completezza dei contenuti e la pacatezza dei toni, ammalia per la condivisione degli argomenti. Non si può, insomma, non essere d’accordo. L’apostrofe alla politica degli sprechi e delle clientele, al circo infantile dei partiti, all’immobilismo dei burocrati cariatidi, è un sentimento che permea la società italiana in ogni suo strato. È il buonsenso che impone la critica ad un Governo ancora troppo statalista, che strizza l’occhio agli statali, ma non risponde ai cittadini e ad un’opposizione disfattista e vittima del suo stesso “essere contro”. Sarebbe lungo commentare ogni argomento, mi posso limitare a dire che la critica e la proposta di Montezemolo centrano perfettamente il bersaglio. Ben vengano, insomma. Mi pare tuttavia che il Nostro pecchi talvolta di ridondante retorica: ne deriva un rischio piuttosto concreto di scivolare nel populismo più becero. Non vorrei che attaccando in tutto e per tutto la classe politica (cosa di per sé lecita e, come detto, condivisibile) si arrivasse a cavalcare l’onda dei sentimenti strumentalizzando il malessere diffuso della società civile. La dico in modo più agreste: criticare tutti per raccogliere consenso ovunque. Sarebbe scorretto. Uso il condizionale perché a catechismo insegnano che i processi alle intenzioni proprio non si fanno. Nella lunga e, ripeto, completa digressione, Montezemolo si dimentica di due elementi poco trascurabili per il risanamento del Paese. Toccando ogni aspetto e scovando ogni ricetta, tralascia due temi che dovrebbero sfiorarlo più da vicino. Non parla dell’evasione fiscale, che le imprese, di cui si fa portavoce e guida, quotidianamente praticano perpetrano. Sanare questa piaga, che le “sue” imprese contribuiscono a incancrenire, risulterebbe utile alla causa comune. E non mi si argomenti che lo Stato troppo opprimente costringe ad evadere. I circoli viziosi si interrompono se uno degli elementi cade e capitola. Se tutti si giustificano, il circolo rimane vivo. Poi Luca Cordero non fa alcun accenno alle mega pensioni e stipendi dei manager. Si potrà facilmente ribattere che sono meritate. Ma allora il politico di lungo corso potrebbe comodamente dire che anche la sua pensione d’oro è meritata… e a questo punto chi potrebbe contraddirlo? Infine l’omelia sulla meritocrazia non cozza contro le clientele che i grandi manager mettono in atto nella loro giungla di protezioni e poteri incrociati? È forse un merito che gli stessi manager comandino dappertutto? E come è possibile che questi meriti si trasmettano geneticamente attraverso il diritto di sangue? In definitiva, tutto quanto detto da Montezemolo è sposabile e sostenibile. Mi sarebbe piaciuto che avesse attaccato la propria categoria con la stessa enfasi con la quale ha sbirciato nel giardino altrui.
Problemi tecnici
Nei prossimi giorni il blog resterà fermo. Ostacoli tecnici mi impediscono di scrivere. Il pc se ne è colpevolmente andato a meretrici, ergo per un po’ non potrò aggiornare questo spazio.
Si tratta solo di una sosta forzata e temporanea. Non abbandonate il Giullare. Presto ritornerò.
Il settimo sigillo
Capita che il Diavolo arrivi volando nella terra del Mito e cerchi con prepotenza di entrare nella storia. Quel Diavolo che nella stessa città greca aveva già conquistato il Mito, solo pochi anni prima.
Capita che il Diavolo si ricopra candidamente di bianco, quasi per ingannare la sorte, e si ritrovi a combattere contro il fato stesso. Quel fato di rosso vestito, che nell’altra identica battaglia l’aveva sconfitto, umiliato, deriso.
Capita che il Diavolo consegni il suo forcone a Lucifero, l’angelo più antipatico. Quell’angelo volante ed invadente che brandisce l’arma ad una, due, addirittura tre mani (una forse è di troppo).
Capita infine che il Diavolo trionfi, raggiungendo il settimo sigillo ed alzando l’ambito calice al cielo, in un turbinio di assordanti istinti, nell’estasi ritrovata di tutti i sensi.
Capita che in via Solferino venga ammainata la bandiera nerazzurra* e di fronte s’innalzi, più alta e più grande, quella rossonera. Per la prima solo il fugace spazio di un’ombra eterna, per la seconda il caldo epico del sole più limpido.
*Per chi non l’avesse capito è la bandiera interista del mio vicino di casa, il Lilino.
MP&MP, matrimonio dell’anno
Il matrimonio degli MP merita certamente un plauso ad populum*, cioè pubblico, perché la qualità delle loro scelte, che ha trovato nella bellezza della giornata una sublimazione senza eguali, deve essere riconosciuta apertamente ed ufficialmente. Si è trattato forse del matrimonio qualitativamente migliore al quale abbia partecipato. È vero, col passare degli anni si dimenticano molti dettagli e circostanze, e si arriva al punto di ritenere che la bella esperienza appena trascorsa sia sempre quella più intensa mai vissuta. Però “a sensazione” non ricordo matrimoni con questa perfezione nella cura dei particolari.
Ecco i motivi per cui questo matrimonio resterà piacevolmente nei miei ricordi.
– La mia nuova macchina fotografica ha fatto delle foto buone. Era un test d’ammissione e lo ha passato. Ci tengo molto a cullare i ricordi attraverso le immagini: grazie a lei, potrò farlo con gioia.
– La sobrietà della cerimonia. Poi le parole lette a voce tremante dal mp hanno commosso anche i cuori più algidi.
– Il ruolo di coiffeur delle debuttanti mi ha spinto a lavare la macchina. Per quest’anno è a posto.
– Pochi invitati, ma buoni. L’idea di far parte dei pochi fa davvero piacere.
– Buffet di benvenuto: sto ancora pensando al pesce spada avvolto attorno al cappero e fritto seduta stante. Impareggiabile.
– Sono rimasto estasiato dalla qualità del vino scelto. E quando ho visto quello champagne, che già conoscevo, mi si sono illuminati gli occhi. Voto dieci.
– Altra scelta vincente è stata quella della degustazione formaggi nella dependance della villa. Mai visto un assortimento simile. Da restarci giorni interi, fino al punto di far prendere la cittadinanza al colesterolo.
– Ricorderò con orgoglio la mia vittoria al gioco delle canzoni, che ha portato un punto alla squadra della mp. I bagordi della serata mi hanno tuttavia suscitato un inquietante dubbio: ma alla fine poi, chi ha vinto?
* si tratta di un’espressione che ho imparato dal mio preside. All’epoca tuttavia, egli non si rivolgeva a noi per offrirci il suo plauso, ma per invitarci a presentare delle scuse ad populum, scuse pubbliche rivolte a tutta scuola per i misfatti di cui eravamo autori.
Referendum ecco i vizi che lascia
Domenica è stato indetto il “referendum day” per dare un’impennata alla raccolta delle firme. Mi è venuto in mente che avevo conservato un articolo di una ventina di giorni fa. Lunghissimo ed a tratti molto tecnico. Ma se, come a me, vi piace l’argomento, direi che le motivazioni sono valide e condivisibili.
Da due giorni è iniziata la raccolta delle firme per il referendum: non credo che si tratti di una buona notizia. Sono fermamente contrario alla legge Calderoli, che ho duramente avversato in Parlamento e, proprio per questo, non condivido questo referendum che, in realtà, non ne chiede l’abrogazione ma una modifica, anzi, a mio avviso, una lieve modifica. Del referendum si parla sotto due diversi profili: da un lato come pressione sul Parlamento perché approvi una legge elettorale nuova e diversa (sottolineo diversa) e, dall’altro, il quesito referendario, vale a dire la normativa che produrrebbe se approvato. Questo secondo aspetto va divenendo, in realtà, sempre più prevalente e da esso occorre partire. Frequentando i luoghi Comuni di vita quotidiana è facile percepire che la profonda e diffusa avversione verso l’attuale legge elettorale si fonda su tre motivazioni: in primo luogo le liste bloccate, che sottraggono agli elettori non soltanto la scelta ma anche la semplice conoscenza dei candidati; il meccanismo che condanna il Senato a maggioranze risicate o inesistenti, rendendo instabile qualunque governo; la frammentazione fra tanti partiti cui questo sistema proporzionale consente una presenza parlamentare consistente, producendo maggioranze poco compatte se non litigiose. Ebbene, come è stato scritto su questo giornale, il referendum agisce soltanto sul terzo aspetto, alzando le attuali soglie più basse di sbarramento e conferendo il premio di maggioranza a un sola lista e non più a una coalizione. Di questo va dato atto, a condizione di ignorare la facile previsione di listone unico per ciascuna coalizione, che poi si dividerebbe subito in diversi gruppi parlamentari, e i dubbi di costituzionalità provocati dalla mancanza di previsione di una soglia minima di consensi per ottenere il premio della maggioranza assoluta alla Camera. A parte le riserve sull’efficacia di questa unica modifica, quindi, il referendum lascia inalterati i primi due vizi fondamentali, liste bloccate e Senato senza vera maggioranza: il cuore della legge Calderoli. Se il referendum venisse celebrato e avesse successo, questo sistema, sancito dal voto popolare, ne sarebbe consacrato e avremmo per lunghi anni un sistema che impedisce ai cittadini di scegliere i parlamentari e produce governi instabili. La legge Calderoli, ideata per avvelenare i pozzi della prevedibile vittoria del centrosinistra, diffonderebbe i suoi veleni anche per le legislature future. Il referendum, come si è detto, è visto anche sotto un’altra luce, quella della pressione nei confronti del Parlamento e dei partiti per una nuova legge elettorale. Questo profilo è fondato: che alcuni partiti, particolarmente i più piccoli, adagiati sul sistema vigente, siano ora disponibili a una nuova legge è dovuto, soprattutto, al timore di soglie di sbarramento più alte. Ma via via che dalla “minaccia” del referendum ci si avvicina alla sua effettiva celebrazione, quella disponibilità è soverchiata da un diverso e più forte interesse di altri partiti: lo scioglimento delle Camere. Come insegna, fra l’altro, il precedente dei ‘93, l’intervento diretto del corpo elettorale che modifichi, anche soltanto in parte, il sistema elettorale, delegittima il Parlamento in carica e induce – direi obbliga – il Presidente della Repubblica a indire nuove elezioni. Nel ‘93 il referendum introduceva il maggioritario per il solo Senato e, lasciando la Camera con un incompatibile sistema proporzionale, richiese che si assicurasse anche a questa il metodo maggioritario e il Parlamento rimase in carica soltanto 11 tempo necessario per approvare la nuova legge e formare i collegi uninominali: il referendum odierno lascerebbe un sistema pronto, con premi di maggioranza in entrambe le Camere, sistema strampalato e inefficiente ma, comunque, applicabile subito. Queste condizioni offrono ai partiti maggiori del centrodestra la prospettiva politica di elezioni anticipate ed essi sono facilmente in grado di impedire, apertamente o meno, qualunque accordo, visto che, lodevolmente, il presidente del Consiglio, Prodi, ritiene che si possa procedere in Parlamento soltanto con larghe intese: l’avvicinarsi della celebrazione effettiva del referendum farà crescere questo interesse e la funzione referendaria di pressione sul Parlamento per una nuova legge si trasformerà sempre di più, verosimilmente, in fattore di dissuasione, i cui segni già si manifestano nella “melma” tattica che viene messa in campo in questi giorni. Temo, quindi, che sia cominciato, con la raccolta delle firme, l’effetto frenante per una nuova legge in Parlamento, come sarebbe, invece saggio. Il tempo, quindi, è questo; ed è breve. Non ci si può illudere che vi sia una possibilità per il Parlamento dopo l’eventuale successo del referendum: a quel punto ognuno direbbe la sua, come avvenne nel ‘93, sull’attuazione dell’autentica volontà dell’elettorato e, come si è detto, il capo dello stato dovrebbe indire nuove elezioni. Il tempo è questo e, si ripete, è breve; e la sede è il Parlamento, come ha ricordato ieri il presidente della Camera. Soltanto in Parlamento si potrebbe incidere davvero sulla frammentazione parlamentare, che con la legge precedente era stata contenuta, limitando a cinque i partiti che avevano superato lo sbarramento del 4%. Non basterebbe una correzione più o meno apparente della legge Calderoli: occorre modificare le norme delle Camere sulla costituzione di gruppi parlamentari e, soprattutto, occorre modificare la legge sul finanziamento dei partiti che distribuisce troppi soldi e a troppi soggetti. Nel merito della legge è bene attendere la faticosa opera del governo e ciò che approderà alle Camere, senza aggiungere altro alla già copiosa e talvolta fantasiosa serie di ipotesi. Credo che ci si possa limitare a far notare che il premio di maggioranza costituisce un collante di scarsa tenuta mentre è il collegio uninominale, nella assunzione di responsabilità di ciascun eletto con il comune elettorale di coalizione che garantisce, a questa, coesione adeguata. Nei giorni scorsi la scelta, coraggiosa e innovativa, di dai vita al Partito democratico, sembra aver stimolato un fenomeno aggregativo anche in altre aree politiche: occorre incoraggiarlo, con decisione ma senza forzature, senza pensare di poter mettere le briglie alla politica. Rendendosi conto che, spesso, quelli che appaiono toccasana fanno precipitare verso esiti imprevisti e indesiderati.
(Sergio Mattarella, deputato dell’Ulivo – Il Mattino 24 aprile 2007)
L’eroe che vuota le sacche
Ivan Basso è il primo ciclista ad ammettere di aver predisposto una frode in preparazione di una gara sportiva, il Tour de France nella fattispecie. Non ricordo nessun ciclista reo confesso per doping, o almeno nessuno che abbia ammesso di essersi “pompato”, prima di una sentenza di squalifica. I ciclisti, e gli sportivi in genere, di fronte alle accuse sono un po’ come i politici nostrani: tutti innocenti e vittime sacrificali di complotti diabolici.
Ivan Basso no. Ha deciso di vuotare il sacco, ammettendo di essere in procinto di “ripulirsi” il sangue in vista della più prestigiosa tra le corse a tappe. L’ammissione di colpa ha fatto notizia, più per la sua eccezionalità che per la gravità della colpa in sé. È accaduto quindi che i rotocalchi e le copertine dei tg abbiano dipinto il ciclista truffaldino come l’eroe da venerare. Non un colpevole tra tanti, ma il pioniere della nuova era. Il coraggioso artefice del mea culpa, traghettatore impavido verso un ciclismo nuovo: “non trattelo come Pantani”.
Non vorrei che si incappasse ancora una volta nell’errore di confondere i truffatori con i truffati. Non so quale sia stata la causa scatenante della confessione: rimorso di coscienza, o convenienza di fronte a fatti evidenti, cambia poco. È apprezzabile l’ammissione di Basso, che da buon ciclista si è affrettato a dire che non si è mai dopato (la sua era solo un’intenzione), ma non dimentichiamoci che rimane pur sempre dalla parte del torto. Riconosciamo la bontà della sua iniziativa e consideriamolo un punto di partenza, ma non facciamone un martire senza macchia.
Il tempismo di Gentiloni
Berlusconi ha ragione quando afferma che la nuova legge sul conflitto d’interessi muove da un intento di colpire la sua situazione. Se il leader forzista, unitamente al suo patrimonio e ai suoi interessi, non fosse entrato in politica, è certo che oggi non saremo qui a parlare di normative simili. In un certo senso, dunque, egli ha ragione quando lamenta un rapporto di causa effetto tra se stesso e il disegno di legge. D’altro canto però, non potrebbe essere altrimenti: se non fosse esistito il problema non ci sarebbe stata la necessità di trovarvi soluzione. Lapalissiano.
Il cavaliere può lamentarsi fin che vuole, giungendo anche ad appellarsi all’illegittimità della norma o rifugiandosi nel ruolo di vittima sacrificale, ma è inconfutabile il fatto che egli rappresenti comunque un’anomalia istituzionale che andava (e va) risolta. Il principio è disarmante nella sua semplicità: nessuno può fare leggi per sé stesso.
Con tutte le perplessità del caso, e con tutte le migliorie che ogni cosa nuova immancabilmente trascina con sé, l’ipotesi legislativa che si appresta a metter mano al conflitto d’interessi non è affatto sciagurata. Innanzitutto non impedisce l’eleggibilità del soggetto, limitandosi ad intervenire al momento dell’incarico, occupandosi dell’incompatibilità dei ruoli. Chiunque può candidarsi, ma al momento dell’elezione dovrà scegliere tra le sue imprese ed il ruolo politico. Nel caso in cui decida di ricoprire la carica, dovrà liberarsi del suo patrimonio, vendendolo o affidandolo ad un gestore neutrale, che non gli renderà alcun conto della gestione (è l’americanata del c.d. blind trust). Visto che la norma coinvolgerebbe anche sindaci ed amministratori locali, e soprattutto in virtù del fatto che la situazione precedente ristagnava in un vuoto normativo pressoché assoluto, sarebbe opera buona e giusta che divenisse legge.
Auspicavo che questo governo arrivasse almeno a legiferare in questa materia. Ma visti i contorni ed i fronzoli inutili in cui si è impelagato in questi mesi, non ci speravo più. Oggi, con la bozza di Gentiloni sembriamo essere vicini all’obiettivo. Come dire… meglio tardi che mai.
La battaglia perenne tra i titani sordi
L’ennesima polemica inscenata da Rivera e dall’Osservatore Romano, con oggetto le ingerenze e le evoluzioni della Chiesa, ha il sapore vecchio della ruggine e della polvere. L’eterno conflitto tra il laicismo estremista ed il clericalismo etico ricorda quelle battaglie epiche all’arma bianca, combattute con pesanti spade e durlindane magiche, tra eroi e mostri sacri senza fine e senza tempo. È insomma un conflitto vecchio e logoro tra posizioni estreme. Statico, eterno. Un conflitto mai trasformato nella farfalla di un vero dibattito e rimasto anzi nel ristagno perenne di una crisalide sempre fine a se stessa.
Da una parte non si arriva ad accettare il fatto che la Chiesa, rappresentando il pensiero di milioni di persone, possa lecitamente arrogarsi il diritto di esprimere un parere. È malandrino il tentativo ecclesiastico di fare le leggi a proprio piacimento, influenzando biecamente l’opinione pubblica ed ingerendo nella sfera legislativa che per definizione è sinonimo di laicità. Ma non si può impedire all’istituzione-Chiesa di esprimersi e financo di sferrare attacchi od apostrofi.
Dall’altro lato della barricata si cerca di strumentalizzare ogni polemica, mandando all’indice gli “eretici” piuttosto che modernizzare il proprio pensiero. Molto più facile rivestire i panni della vittima che accogliere le critiche mosse e sollevate ormai da ogni parte della società civile.
E nel marasma di questo scontro campale ed infinito tra titani sordi, arriva l’appello di Prodi “ad abbassare i toni”. Davvero originale.
I° Maggio, quale festa dei lavoratori?
“È fatto divieto al datore di lavoro di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore“.
(Art. 8 Statuto dei lavoratori)
Ho pensato di esprimere il mio parere sull’argomento che segue perché buona parte dei frequentatori di questo blog coincide con l’orda ringhiosa dei miei colleghi.
Ho trovato sconcertante quanto accaduto lo scorso venerdì pomeriggio. Mi riferisco alla circostanza che ha visto una segretaria di direzione battere gli uffici alle 17.25 alla ricerca di firme per sostenere una lista delle elezioni comunali. Non sta né in cielo, né in terra. Che introduca la sua raccolta premettendo addirittura che il mandato arriva direttamente dalla direzione è un’aggravante piuttosto pesante. La stessa non ha saputo rispondere a chi domandava quale fosse il legame tra la lista in oggetto e la direzione, limitandosi ad addurre una fantomatica libertà di firmare o di non firmare (e ci mancherebbe!). A prescindere dalla lista e dal suo colore, che poco importano, essendo il ragionamento di principio, non si può neppure limitarsi a parlare di una debacle di stile da parte dell’azienda. Si tratta di un’ingerenza bella e buona! Un’ingerenza che mina la libertà di pensiero e che non può non condizionare il lavoratore. Vi pare normale che un datore di lavoro giri per gli uffici chiedendo ai suoi dipendenti di firmare per un candidato sindaco? Poi cosa faremo? La lista di chi ha firmato e quella di chi non ha firmato da esporre in bacheca?