A corollario delle ultime vicende legate alla Chinatown milanese, ho cercato un passo di uno dei miei libri preferiti.
È da qualche anno che ho davvero paura dei Cinesi. Una paura seria. Una paura, la mia, che si è tramutata in ostilità ed in intolleranza.
“Sto ancora seguendo il processo di trentatré cinesi accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Fanno capo a Lin Jian Hua, un capomafia della fazione di Wenzhou. Quelli di Wenzhou si contendono il controllo di Milano con quelli di Wencheng. Nessuno ne sa niente, alla stampa non interessa, alle televisioni men che meno. Sono anni che lavoro sulle Società Nere, non gliene frega niente a nessuno. Nessuno sta capendo cosa succede, cosa succederà qui tra poco…”
“Che succederà?”
“Che si comprano Milano. Pagano in contanti. Le Società Nere sono direttamente connesse a settori controllati dall’Esercito del Popolo, dai militari di Pechino. Là è un boom. La Cina emerge.Soltanto quest’anno, i cinesi hanno superato gli Stati Uniti per volume di investimenti all’estero. Tra sette anni, la Cina sarà lo stato più ricco al mondo, stanno per superare il prodotto interno lordo dell’America. Dispongono di una liquidità enorme. E non la investono all’interno. Sono abituati alla povertà. Per loro non è un fattore di destabilizzazione sociale: il contrario, usano la povertà di massa come strumento di controllo. E investono fuori.”
“Cioè comprano…”
“Sì. In contanti. C’è un traffico clandestino di dollari che esorbita ogni aspettativa. Trasportano contanti insieme ai clandestini. E comprano in contanti: appartamenti, stabili interi, esercizi commerciali. Da dieci anni va vanti così, non gliene frega niente a nessuno. Chi vende è contento: i cinesi arrivano ad offrire un terzo in più del valore reale dell’immobile. Arrivano in tre: il compratore, che solitamente è un prestanome; un avvocato; un terzo che non si capisce bene chi sia. Arrivano con le valigette piene di dollari o euro. Non sono soldi falsi – è che non sono dichiarati. L’effetto è duplice. Stano reinserendo clandestinamente enormi quantità di denaro svincolato dalle tassazioni. Letteralmente: gonfiano la deflazione. Non è che a Bruxelles non lo sappiano: ma lasciano fare, non capisco perché…”
“Il core business delle Società Nere che oprano a Milano, fino a qualche anno fa, era l’emigrazione clandestina dallo Zhejiang verso l’Italia. Poi l’interesse maggiore è scivolato su un diverso focus: l’usura. È pazzesco, questi hanno un sistema creditizio abusivo, parallelo alla diaspora. Si prestano i soldi tra loro – soldi non dichiarati, senza possibilità di rivalersi sugli insolventi rivolgendosi alle autorità, perché è un sistema totalmente clandestino. Girano cifre vertiginose.”
“Lo dicevo, te lo dicevo, Guido: questi sono un tumore…”
(G. Genna – Non toccare la pelle del drago)
#1 by Erica at 18 aprile 2007
Anch’io sono terrorizzata dai cinesi.
Ho paura di questo popolo perché lo ritengo in grado di fare qualsiasi cosa, lo ritengo disposto a tutto pur di realizzare i propri obbiettivi.
Ho iniziato a leggere un libro che è un viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, così descrive “Gomorra” il suo autore: Roberto Savino.
Il libro si apre con la descrizione di una scena, ambientata nel porto di Napoli, in cui un container dondola appeso ad una gru che lo sta spostando sopra alla nave.
Ad un certo punto i portelloni mal chiusi si aprono di scatto ed iniziano a piovere decine di corpi.
Sembrano manichini, ma a terra le teste si spaccano come crani veri. Sono crani veri. Escono dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l’uno sull’altro. In fila, stipati come arringhe in scatola. Sono i cinesi che non muoiono mai. Gli eterni che si passano i documenti l’uno con l’altro. Ne cadono a decine dal container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container e un buco in qualche pezzo di terra cinese.
Da qui, dal porto di Napoli, l’autore descrive i traffici economici della Cina. Da qui, da dove l’Oriente non ha nulla di Estremo.
…
E pensando alla Cina, alla brutalità del popolo cinese, come non citare la politica sul controllo delle nascite?
In Cina, ci sono ancora al giorno d’oggi milioni di aborti forzati all’anno e migliaia di donne vengono sterilizzate per impedire loro di procreare.
Il Corriere della sera ha pubblicato lo scorso 19 Gennaio l’articolo di Fabio Cavaliera intitolato:
“Il vergognoso controllo delle nascite in Cina”. L’articolo è molto toccante, lo riporto integralmente nonostante sia un po’ lungo.
La protagonista è una donna alla sua seconda gravidanza, come me in questo momento. Solo che io sono molto più fortunata di lei, ho la fortuna di essere nata in Europa.
La contadina Zhang ha 26 anni, è mamma di una bambina
e di un bambino che ha voluto a tutti i costi perché,
tradizione cinese delle campagne, un maschio aiuta la
famiglia a coltivare la terra. La legge che regola il
controllo delle nascite non le consentiva la doppia
maternità e i funzionari del suo villaggio nella
provincia dello Hunan avevano provato a dissuaderla.
Imponendole persino l’obbligo di abortire. Ma lei si è
rifiutata e ha lanciato una sfida. Per questo motivo
l’hanno definita, alcuni giornali, «la guerrigliera
della gravidanza». Non è un caso isolato. Le
«guerrigliere della gravidanza» contestano lo Stato.
La politica del figlio unico è stata applicata spesso
al limite (e oltre) dei diritti fondamentali della
donna e dell’uomo. È un’arma controversa di
pianificazione demografica che mette in discussione la
libertà delle famiglie; che si porta dietro il
tristissimo fenomeno – per altro illegale – degli
aborti selettivi dei feti di sesso femminile sia nelle
aree rurali, in quanto una ragazza non è ritenuta
idonea al lavoro pesante nei campi, sia nelle città,
in quanto prevale la mentalità medioevale della
«superiorità del maschio»; che è causa del «traffico
di minori» nel quale secondo le Nazioni Unite
sarebbero coinvolti in Cina ogni anno 250 mila fra
donne e bambini.
Pur tuttavia la scelta compiuta nel 1979 e ratificata
nella legge matrimoniale del 1981 poi ritoccata nel
2002 – riforma che ha attenuato il ricorso alla
sterilizzazione obbligatoria – ha offerto alla Cina la
possibilità di contenere gli effetti della bomba
demografica e di curare la piaga della povertà e della
fame. Le conseguenze positive sono state due: maggiore
scolarizzazione, maggiore ricchezza alimentare.
Oggi quella stessa politica, che obbliga a un unico
concepimento e che in caso di violazione impone il
pagamento di una multa del valore medio di 15 mila
euro oltre alla perdita di sussidi sociali, è però
sotto pressione. Il miracolo dello sviluppo suggerisce
alcuni cambiamenti. Persino i vertici dello Stato, in
ciò sollecitati dalla Commissione per la
pianificazione familiare che ha il mandato di fissare
le quote nazionali e provinciali del tasso di
natalità, hanno condiviso l’opportunità della
revisione. La liberalizzazione, però, è un passaggio
difficile in quanto deve fare i conti con la
disomogenea applicazione delle norme attuali e con la
diversa sensibilità culturale che caratterizza le
componenti della dirigenza cinese.
Nelle metropoli, dove cresce il benessere, le maglie
si sono già allargate. Ad esempio una donna non deve
più chiedere al datore di lavoro il permesso alla
gravidanza. E gli interventi sono più mirati al
convincimento che alla imposizione. Nelle campagne la
situazione è differente. La verifica della politica
del figlio unico è affidata alla discrezionalità delle
autorità locali, le quali si appropriano della delega
per trasformarla in esercizio del loro potere. La
stessa Commissione nazionale per la pianificazione ha
dovuto ammettere che nello Shandong fra il marzo e il
luglio del 2005 settemila donne sono state
sterilizzate contro la loro volontà e addirittura
alcune costrette a partorire bimbi morti.
Nelle campagne non vi è politica di prevenzione ma
solo repressione e violenza. Questa storia ci racconta
un fenomeno che sta uscendo dall’anonimato. Zhang
Yulan non avrebbe potuto portare a compimento la
seconda gravidanza che è ammessa nelle aree rurali se
il primo figlio è femmina e solo dopo un intervallo di
tempo di quattro anni dal parto. Sua figlia ne aveva
poco più di uno. Così, una volta saputo dai test che
era in attesa, è scappata d’accordo con il marito in
un villaggio vicino per difendere la maternità. Quando
i responsabili della comunità di origine hanno
scoperto come stavano le cose, l’hanno raggiunta e le
hanno detto: devi abortire.
Era già al settimo mese ma non hanno voluto sentire
ragione. L’hanno accompagnata di forza all’ospedale da
dove è riuscita di nuovo a fuggire. Il marito, per
punizione, è stato licenziato. E il suo capoufficio
degradato. I 300 colleghi di lavoro si sono visti
raggiungere da una multa del valore di 100 euro,
l’equivalente di una mensilità di stipendio. Una
vendetta dimostrativa.
Zhang Yulan è riuscita ugualmente a partorire. Gli
ospedali della provincia dello Hunan avevano ricevuto
l’ordine di non prestarle assistenza. Lei è andata in
una piccola clinica e in anticipo sui tempi previsti
ha dato alla luce un maschietto. Non era mica finita.
Tornata a casa, la coppia di genitori ha trovato le
ultime sorprese. Quarantacinquemila yuan di multa
(poco meno di 4500 euro). E l’espulsione immediata dai
ranghi del Partito comunista. Pensavano, i dirigenti
del villaggio, di avere avuto ormai partita vinta.
Invece Zhang, guerrigliera contadina «indegna» di
stare nel partito, ha parlato. E ha rotto il codice
della omertà. Trovando la solidarietà dell’intero villaggio.
#2 by admin at 18 aprile 2007
Intanto grazie per il comment. Denota una certa ricerca, cura ed attenzione: elementi che sostengo ed apprezzo. È chiaro che l’argomento che hai aggiunto ti riguarda da vicino e per questo ti tocca più di altri. Per deformazione scolastica, sono sempre portato a sottolineare il ruolo della comunità internazionale. È pazzesco che le istituzioni sovrannazionali (Onu e agenzie specializzate tipo Unicef) non possano/vogliano intervenire.
Boh… già il fatto di parlarne tra noi è un piccolissimo passo.
GIULLARE
#3 by Gianluca at 18 aprile 2007
Scusa Silvio, non è una polemica.
Premesso che approvo quanto hai scritto sui cinesi (e ce lo diciamo da tanto tempo), mi soffermo un attimo su questa tua frase:
“Boh… già il fatto di parlarne tra noi è un piccolissimo passo”.
E ti faccio il paragone, andando stra-fuori tema, con quanto hai sostenuto una volta per il commercio equo e solidale.
Cioè mi chiedo: allora anche per quello basta che ne parliamo tra di noi e quindi è un piccolo passo? Mi eri sembrato più drastico in quell’occasione.
Insomma: basta che la gente ne parli o alla fine non serve niente? Basta ascoltare i telegiornali e rimanere aggiornati oppure no?
A volte sinceramente non so rispondere a queste domande?
A volte credo proprio che la risposta sia che se anche io, te ed Erica ne parliamo alla fine non serva proprio ad un bel niente.
#4 by admin at 23 aprile 2007
Non ti so rispondere. A volte mi da l’idea che sia assolutamente inutile. Altre volte mi sembra che la “chiaccherata” abbia comunque un valore e un peso specifico che occorre ricercare. Questo mi accade soprattutto per argomenti poco conosciuti/discussi come può essere quello dei cinesi. Ripeto, non lo so. Forse giudico tutto in funzione del mio stato d’animo.