L’etica del riscatto, il riscatto dell’etica


Tra gli assordanti frastuoni che la gioia immensa per un ostaggio liberato trascina inevitabilmente con sé, ed in mezzo ai dibattiti politici sulla condizione e conduzione delle guerre in medioriente, in pochi hanno sottolineato un aspetto tutt’altro che secondario della vicenda di Mastrogiacomo. Le parole di stima e riconoscenza per l’intelligence italiana e per l’attività di mediazione di Emergency hanno commosso l’opinione pubblica, mitigando un altro amaro nocciolo contenuto nella questione. È passata in sordina la notizia che per riavere il giornalista, è stato necessario liberare cinque terroristi talebani. Un do ut des, che altro non è che il pagamento di un riscatto. Mastrogiacomo è stato rapito al fine di ottenere dei prigionieri in cambio. E solo scarcerando dei prigionieri si è arrivati alla sua liberazione. Né più né meno dell’accoglimento di una richiesta, di un pagamento.
Questa “scesa a patti” con i rapitori non può non riaprire l’annoso dibattito sull’etica dei rapimenti. Lo stesso dibattito che raggiunse l’apice con il sequestro Moro negli anni di piombo. Allora tutte le forze politiche fecero fronte comune, sostenendo la necessità di non venire a patti con i rapitori, perchè l’istituzione, lo Stato, non può mai negoziare con l’anti-stato. Allora si disse che accettare ricatto e riscatto avrebbe significato autorizzare altre azioni dello stesso stampo. Moro, suo malgrado, avrebbe dovuto pagare da solo il prezzo di una scelta d’intransigenza che avrebbe giovato al futuro di tutti gli italiani. Sacrificare una vita per non doverne sacrificare molte altre. E così fu.
Di fronte alla possibilità di perdere una vita umana oppure di salvarla con un semplice atto di disposizione istituzionale, il dibattito è tutt’altro che banale e unidirezionale. Al suo interno, ogni posizione è lecita e sostenibile, proprio perché fondata su saldi principi etici, benché diversi.
Tuttavia resta da chiarire perché queste domande non vengano discusse e scorporate di fronte all’opinione pubblica. Perché trent’anni fa furono tutti concordi nel negare a Moro la possibilità di vivere, mentre oggi il dubbio sulla moralità dello scambio non è neppure paventato? Le due Simone, Torsello e Mastrogiacomo sono stati liberati solo perché si è deciso di patteggiare con i rapitori. Ma nessuno si è posto il dubbio ed anzi si è cercato di celare la verità dello scambio, puntando piuttosto i riflettori sull’esultanza per le liberazioni.
Dunque gli ostaggi, o la merce di scambio, hanno pesi e valori diversi oggi rispetto ad allora? Credo piuttosto che sia cambiata l’indole della classe politica. È molto più semplice e populista pagare per risolvere la questione, che impantanarsi in vicoli ciechi senza ritorno: almeno a livello di immagine e popolarità il tornaconto è assicurato.

  1. #1 by Erica at 11 maggio 2007

    Hai perfettamente ragione, purtroppo hai perfettamente ragione!
    Ventinove anni fa per Aldo Moro non si fece nulla, si aspetto che passassero i 54 giorni, si aspetto la sua morte. Ed era il presidente della DC.
    Ora per la liberazione di un giornalista, di un operatore umanitario, vengono aperte le carceri.
    La linea della fermezza è stata soppiantata dalla linea della trattativa sempre e comunque e il motivo è palese: conquistare il consenso dell’opinione pubblica.

    Mi dispiace tantissimo per i famigliari e gli amici di Aldo Moro.

(non verrà pubblicata)

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