Mi è stato inoltrato un ottimo articolo confezionato da Ezio Mauro, direttore di Repubblica. Lo trovo molto interessante e altrettanto condivisibile. Lo ripropongo.
C’è una domanda cruciale per la politica italiana che nessuno fa a voce alta, assordati come siamo in questo inizio di secolo dal suono delle campane dei vescovi. Eppure è una domanda che, a seconda delle risposte, può cambiare il paesaggio politico del nostro Paese e può ridefinire alleanze e schieramenti. La questione è molto semplice e si può sintetizzare così: è ancora consentito, nell’Italia del 2007, credere in Dio e votare a sinistra?
Nel silenzio della coscienza individuale è senz’altro possibile e anzi è comune, risponderebbero molti dei nostri lettori, che hanno in mano un giornale laico, sono in parte cattolici e votano abitualmente per lo schieramento di sinistra, magari talvolta turandosi il naso. E infatti, non è la libera testimonianza individuale che è in discussione: e ci mancherebbe. Ciò che invece mi sembra sotto attacco è l’organizzazione politica del pensiero cattolico di sinistra, la sua “forma” culturale, l’esperienza storica che ha avuto in questo Paese e infine e soprattutto la traduzione concreta di tutto ciò nella nostra vita di tutti i giorni e nel possibile futuro. Cioè l’alleanza tra i cattolici progressisti e gli ex comunisti che è al centro della storia dell’Ulivo, che oggi forma il baricentro riformista del governo Prodi e che domani dovrebbe essere la ragione sociale del nuovo partito democratico, risolvendo l’identità incerta della sinistra italiana.
Se non fosse così, non si capirebbe tutto ciò che si muove in queste ore sotto il mantello dei vescovi. È come se per la gerarchia fosse iniziata la terza fase, nei rapporti con la politica italiana. Prima, nel Paese “naturalmente cristiano”, la Chiesa poteva presumere di essere il tutto, affidando ad un unico soggetto politico – la Democrazia Cristiana – la traduzione nel codice statuale dei suoi precetti e la tutela dei suoi timori, sempre nell’ombra dei corridoi vaticani, perché l’impronta del Papato oscurava comunque in una surroga di potenza l’identità culturale dell’episcopato nazionale.
Poi, a cavallo del giubileo e all’apogeo di un papato universale come quello di Wojtyla, ecco la coscienza per la Chiesa di essere finita in minoranza in un Paese cattolico per battesimo ma scristianizzato nei fatti, improvvisamente “terra di missione” per una riconquista che per compiersi ha bisogno di un disegno forte e autonomo dei vescovi, perché dopo secoli anche in Italia da “tutto” la Chiesa deve diventare “parte”.
L’uomo che gestisce il passaggio in minoranza della Chiesa – la seconda fase – e capisce le potenzialità politiche di questa nuova condizione, è il cardinal Ruini, presidente della Cei.
Diventando parte, la Chiesa diventa reattiva, combattiva, entra in concorrenza con le altre grandi agenzie valoriali e le centrali culturali, si “lobbizza” agendo da gruppo di pressione sui centri di decisione della politica e soprattutto della legislazione. Ruini intuisce che la sfida della modernità, in questa fase, è soprattutto culturale, e capisce di trovarsi di fronte – dopo Tangentopoli e la caduta del Muro – partiti senza tradizione, senza bandiere, senza identità storica. Il pensiero debole della politica italiana può dunque essere attraversato facilmente dal pensiero forte del Papa guerriero, e nella breccia possono utilmente infilarsi i vescovi per una politica di scambio che abbia al centro i cinque temi della vita, della solidarietà, della gioventù e soprattutto della famiglia e della scuola.
La terza fase comincia quando Ruini avverte che alla Chiesa è consentito, nei fatti, ciò che nella Repubblica non è permesso alle altre “parti”. Ogni componente della società, ogni identità culturale, nella sua autonomia e nella sua libertà deve riconoscere un insieme in cui le parti si ricompongono: lo Stato. Ma è come se la Chiesa, mentre ammette di essere diventata minoranza, non accettasse di vedere in minoranza i suoi valori, faticasse a stare dentro la regola democratica della maggioranza, dubitasse del principio per cui in democrazia le verità sono tutte parziali, perché lo Stato non contempla l’assoluto. La Chiesa oggi in Italia è più debole di ieri nei numeri? Non importa, perché i numeri non contano visto che per Ruini il cristianesimo è avvertito nel nostro Paese come “senso comune”, una sorta di substrato antropologico, una specie di natura italiana: alla quale si può trasgredire solo con leggi che diventano automaticamente contro natura, dunque sono contestabili alla radice.
È un discorso che ha in sé l’obiettivo grandioso della terza e ultima fase del lungo regno ruiniano sull’episcopato italiano: la riconquista dell’egemonia, non più attraverso il partito dei cristiani ma direttamente da parte della Chiesa, che con la spada di questa egemonia rifonderà la politica, separando infine il grano dal loglio e costituendo un nuovo protettorato dei valori nell’esercizio di un potere non più temporale, ma culturale. Un progetto che può compiersi solo davanti ad un sistema politico gregario, senza autonomia, incapace di testimoniare un sentimento civile della Repubblica, svuotato di identità al punto da vedere nella Chiesa l’ultima agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle ideologie. Fonte ancora di mobilitazione, forse di legittimazione, almeno di benedizione, in un Paese in cui tutti i leader politici – o quasi – si sono convertiti se non altro mediaticamente, o comunque hanno dichiarato di essere pronti a farlo, e altrimenti sono in lista di attesa: o, come si dice, in ricerca.
Siamo davanti ad una sorta di neo-gentilonismo, con la religione che diventa materia di scambio, nella presunzione che sia vera la leggenda del voto cattolico di massa orientato dalla stanza del vescovo. Con l’intercapedine culturale dei partiti debole e fragile, la Chiesa scopre la tentazione di raggiungere direttamente il legislatore, si accorge che la precettistica può influenzare molto da vicino la legge, dimentica la distinzione suprema tra la legge del creatore e la legge delle creature. Se il disegno è egemonico, tutto è potenza. E se un testo legislativo diventa simbolico, qui si deve dare battaglia fino in fondo perché la bandiera trascende la norma e il valore ideologico supera il valore d’uso. Ecco la prima risposta alla domanda intelligente di Giuliano Ferrara ai vescovi: dove volete andare con questa battaglia intransigente, non più negoziale, sui Pacs, visto che si prepara “un risultato che collocherebbe l’Italia in un ambito di cautelosità e di disciplina morbida delle pretese nuove forme di famiglia”? Semplicemente, vogliono andare fino in fondo: non della battaglia sui Pacs, ma della battaglia per l’egemonia culturale, che è appena incominciata.
Come accade in ogni battaglia, anche in questo caso il cardinal Ruini lascerà tra poco in eredità al suo successore non solo le truppe, le mappe e le strategie, ma anche le alleanze. Che sono tutte a destra, perché qui si compie, oggi, la lunga cavalcata di quello “strano cristiano” che avevamo visto muoversi sulla scena italiana per la prima volta sei anni fa. Incapace da più di un decennio di far nascere un nuovo sistema culturale che dia un codice moderno ed europeo a moderati e conservatori, la destra si accontenta della prassi di potere e di consenso berlusconiana e prende a prestito le idee forti, che non ha, nel deposito di tradizione della Chiesa italiana. La destra cerca un pensiero, la Chiesa cerca la forza e nell’incontro inedito il verbo si fa carne: e poco importa che sia carne pagana, con la mistica idolatra del berlusconismo che ha introdotto una nuova religione in politica, rendendo Dio strumento dell’unzione perenne al demiurgo, mentre nasce un nuovo “cristianismo”, con la fede svalutata in ideologia.
Se questo disegno si compie, la Chiesa corre il rischio mondano di diventare parte, se non addirittura un soggetto politico diretto, e si amputa a sinistra la cultura politica cattolica, per la prima volta nella storia della Repubblica. Escludendo quei cattolici democratici che hanno preso parte attiva alla nascita della costituzione e delle istituzioni repubblicane, e che soprattutto hanno saputo per decenni coniugare la fede con la laicità dello Stato. Forse per il cardinal vicario vale ancora la condanna di Augusto Del Noce contro i “progressisti cattolici”: “Trasformano talmente il cristianesimo per non ledere l’avversario, che bisogna dubitare se effettivamente credano”. Certo, per Sua Eminenza vale la profezia di Rocco Buttiglione: “Il cattolicesimo che si era lasciato ridurre nell’inglobante progressista oggi non ha più nulla da dire, torna attuale il pensiero cattolico che aveva rifiutato il progressismo”.
La partita ruiniana sembra puntare proprio qui, a far saltare l’alleanza tra i cattolici democratici e la sinistra ex comunista, in un disegno riformista che può diventare un partito. Ecco perché ieri sui Pacs – dove i vescovi intervengono ormai sugli articoli di un disegno di legge, non sui valori – è riecheggiato addirittura il solenne “non possumus” di Pio IX, con un monito preciso contro la sinistra e in particolare contro i cattolici democratici: quanto sta accadendo, ha scritto infatti con chiarezza il giornale dei vescovi con un linguaggio mai usato nei giorni più neri della Repubblica, è “uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana”.
Il dado, a questo punto, sembra tratto. È vero che la presenza cristiana nel Paese, come dice Pietro Scoppola, non è riducibile a questo schema di comodo. Ma la Chiesa, con lo spartiacque benedetto di Ruini rischia di aprire per la prima volta un fronte religioso nella battaglia politica italiana, qualcosa che non abbiamo ancora conosciuto, una faglia inedita. In un terreno fragilissimo, dove troppi politici sono pronti a cambiare opinione a ogni rintocco di campana, sensibili nei confronti dei vescovi molto più al comando che ai comandamenti. Ecco perché bisogna chiedersi se è ancora consentito credere in Dio e votare a sinistra.
Anche se bisognerebbe aggiungere un’ultima domanda: in quale Dio? Nella prima fase dell’era Ruini, era un Dio post-democristiano, comodo perché relativo, appagato dalla sua onnipotenza e affaticato dal suo declino. Nella seconda fase, quella della minoranza, è diventato un Dio italiano, in una sorta di via nazionale al cattolicesimo. Oggi, rischiano di farci incontrare un Dio di destra, e già solo dirlo sembra una bestemmia.
(Ezio Mauro – da La Repubblica del 7 febbraio 2007)
#1 by admin at 17 febbraio 2007
Ma qualcuno ha letto questa roba? Dovrei evitare di attaccare articoli così lunghi, eh? In effetti il dubbio mi era venuto…
#2 by paio at 17 febbraio 2007
Non avere fretta,
qualcuno legge.
#3 by Erica at 18 febbraio 2007
L’articolo è estremamente interessante, ti ringrazio di averlo pubblicato sul blog, altrimenti io, personalmente, non avrei avuto la possibilità di leggerlo.
Lo condivido completamente.
Ritengo che la battaglia che la Chiesa sta combattendo con tutte le sue forze abbia poco o nulla di cristiano. Consapevole di essere una minoranza combatte per imporre il proprio pensiero, ossia il proprio potere. Preoccupata di essere disautorata, di non essere considerata nelle strategie politiche, cerca un’alleanza che non ha nulla di religioso. Cerca, nel partito di destra, i numeri, il consenso, che le diano la forza di imporre il proprio pensiero. E, naturalmente, il partito di destra approfitta della voce che tuona dalle alte cariche ecclesiastiche, non perché sposa l’ideologia cristiana, ma perché così facendo combatte il partito al Governo.
In un Paese laico queste cose non dovrebbero accadere.
La Chiesa si dovrebbe occupare dei grandi problemi che affliggono l’umanità intera, non della politica di un piccolo Paese qual è l’Italia.
Personalmente ritengo che questo modo di comportarsi della Chiesa allontani le persone, i cristiani di battesimo, dalla Chiesa stessa. Ed oltre ad essere una mia sensazione è anche quello che mi auguro. Spero che i cosiddetti cristiani democratici aprano gli occhi e non si facciano trascinare dalle prediche che tuonano dall’alto degli altari.
Su altri due temi molto importanti che recentemente hanno scosso l’opinione pubblica, la Chiesa ha perso consensi. Mi riferisco al referendum sulla fecondazione assistita e al tema dell’accanimento terapeutico, problematica, questa, suscitata dal caso Welby, al quale il Papa negò addirittura i funerali religiosi.
#4 by AR at 18 febbraio 2007
Ha ragione il Paio, qualcuno legge, anche perchè la tua impaginazione ed il tuo carattere (nel senso di “font”) sono di gran lunga più eleganti e leggibili dell’originale elettronico. Quello che mi ha steso è la citazione da Cremonini (il blog è tuo ma sai che non riesco a trattenermi)
#5 by Giandan at 18 febbraio 2007
Sinceramente quando sento che qualcuno cerca di appropriarsi di Dio, mi sento un po’ a disagio a qualsiasi commento.
Sottoscrivo ogni parola di Erica.
#6 by Giandan at 18 febbraio 2007
Cmq sì, era anche un po’ lungo.
Fossero state parole tue almeno mi sarei divertito di più a leggerle.