Mi ero riproposto di non scrivere nulla sui fatti di Catania. Non perché l’argomento non suscitasse il mio interesse, o perché non fosse di per sé meritevole d’attenzione, ma per evitare di aggiungere retorica alla retorica. Di fronte a queste situazioni, si ascoltano sempre le stesse parole, gli stessi appelli, le stesse considerazioni. Accade sempre che “i soliti concetti” finiscano per annullarsi a vicenda: un’opinione o un pensiero, seppur forti, nel momento in cui vengono ripetuti ad oltranza e dunque inflazionati, perdono il loro peso e la loro portata. Il più delle volte repetita stufant. Frasi come “il calcio è malato”, “non si può morire per una partita” o “manca la cultura della sconfitta”, benché condivisibili, suonano ormai come apostrofi atone, profondi vuoti da rendere al mittente. Nessun effetto.
Mi ero proposto di non scrivere, dicevo. Poi oggi ho letto le parole di Matarrese e non ho resistito. “Che il calcio non debba fermarsi e che un poliziotto morto faccia parte del sistema” sono dichiarazioni prive d’ogni rispetto, irriguardose prima ancora che inopportune. Lo sdegno corale di fronte a queste idiozie dimostra la bassezza del personaggio. Immaginiamo che tra manager e dirigenti del suo livello questo pensiero risulti diffuso e condiviso. Di fronte ai grassi interessi in gioco, l’uomo che regge i fili di tutte le marionette non si sconvolge certo per una morte “qualunque”. È vergognoso pensarci, ma non fatico a credere che tra le dichiarazioni di disappunto e cordoglio pronunciate da tutti i vertici politico-sportivi ci sia molta ipocrisia. Da un presidente di Lega non possiamo certo attenderci grande moralità o propensione all’etica, ma speravo che anche il più sciagurato dei dirigenti sportivi potesse avere almeno il buonsenso del silenzio.
Clamoroso al Cibali…
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