Se, come sembra, dei dirimpettai di casa arrivano ad uccidersi per banali screzi di vicinato, allora significa che la questione merita una riflessione molto attenta, che superi insomma il qualunquistico “stiamo tutti impazzendo”. La strage di Erba non può non porre seri interrogativi sociologici, perché occorre di fatto andare oltre la tragicità del singolo evento. “Moventi e perché” altro non sono che l’espressione di qualcosa di più profondo e radicato e purtroppo di grottescamente diffuso. Gli omicidi avvenuti in riva al Lago di Como non si spiegano semplicisticamente con se stessi. Va fatto un discorso ampio e generale: non tanto per prevenirne altri, ma per correggere, laddove possibile, un malessere dilatato e latente.
Ho ascoltato attentamente le parole di uno dei tanti sociologi intervenuti sull’argomento. A suo dire possiamo rimanere colpiti da accadimenti simili, ma non meravigliarci. In una società che subisce mutazioni improvvise e radicali della sua essenza, non ci si può più stupire di reazioni smodate e sconsiderate.
La cronaca degli ultimi anni è piena (sembrerebbe più di prima) di atroci tragedie di provincia. Coinvolge soprattutto tranquille province del nord, transitate in pochissimi decenni dalla povera monotonia del mondo agricolo, alla ricca frenesia di quello industriale. Imprese cresciute come i funghi, soldi spuntati sotto i cavoli e benessere diffuso. Ricchezza improvvisa per una società abituata a ritmi lenti ed abituali. Tutto e subito, commutando i vecchi sacrifici e i sorpassati principi. Ma anche stress e noia allo stesso tempo. E allora ecco bambini che lanciano sassi dai cavalcavia, giovani che frequentano la cocaina più dei loro amici, adulti che sterminano famiglie.
Sono eventi che non hanno una spiegazione certa, o per lo meno non ne hanno una univoca. Tuttavia partire da qui, cercando di non scivolare nell’inutilità della retorica, è già un buono spunto.
Erba di casa mia
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