“…ci saranno sempre i tuoi campi, sebbene la nuda pietra e la palude con il giunco limaccioso ricoprano i pascoli interi. Le pecore sgravate e sofferenti non si spingeranno verso pascoli sconosciuti, né saranno colpite da mali contagiosi del gregge vicino. Qua vivrai il fresco delle ombre, tra acque amiche e sorgenti divine; da un lato la siepe, succhiata nei fiori di salice da api iblee, di frequente con dolce sussurro ti recherà il sonno; dall’altro, il potatore lancerà al cielo il canto, mentre non smetteranno di tubare le colombe a te graziose, né finirà di gemere la tortora sopra l’alto olmo.”
Mi piacerebbe continuare ad immaginare il mondo agricolo come lo descrive Virgilio nelle sue Bucoliche. Purtroppo questa immagine viene scalfita, ogni anno, dalla Giornata del ringraziamento. Giornata dell’orgoglio agricolo voltese, giornata nella quale tutto il mondo contadino del nostro paese si ferma e si alza in piedi, per ringraziare gli dei e per mostrare alla cittadinanza intera l’importanza del suo lavoro. La comunità si prostra di fronte alla processione dei trattori, il paese si raccoglie attorno all’altare, agghindato con i prodotti della terra per sentirsi più vicino al cielo. Una messa fra le macchine agricole, condita da panegirici retorici sull’impegno agreste, improbabili apologie del contadino e sacre benedizioni di John Deere. Per un giorno non sembra esistere altro: solo i contadini, col loro bagaglio di saggezza, umiltà e rettitudine. Preghiamo per loro, perché riescano sempre a darci il pane quotidiano, perché abbiano la vicinanza ed il sostegno della società, perché continuino a costituire per noi un esempio da seguire. Dimentichiamo per un giorno la ricchezza della loro categoria e compiangiamo la loro fatica. E gli altri? Quelli che si alzano tutti i giorni alle cinque per imboccare un’autostrada che li porti al lavoro chissà dove? Quelli che campano con uno stipendio da fame o che non campano affatto perché uno stipendio non ce l’hanno? Quelli che rischiano la vita nei cantieri e quelli che si ammazzano di lavoro per dare da mangiare ai figli con qualche straordinario? Quelli che vengono umiliati dai capiufficio o dalla monotonia di un lavoro manuale sempre uguale? Per tutti costoro, e per tutti gli altri, Dio non c’è? Oppure sono loro che non hanno bisogno di Dio? Quelli che non piangono mai (né che piova troppo, né che piova troppo poco), e che non ricevono alcun contributo a fondo perduto, non meritano forse la stessa attenzione? La storia e la tradizione rurale del nostro territorio sono fuori discussione, ed anzi è giusto non dimenticare mai da dove veniamo. Celebrare la cultura contadina è doveroso. Tenere vivi il folklore e la tradizione significa salvaguardare la specificità, significa capire la storia e spiegare il presente. Ma tutto il resto sconfina nel patetico e nell’ipocrita. Scomodare Dio perché interceda sui poveri agricoltori, mentre in fondo alla piazza si tratta l’acquisto di una vacca a suon di bestemmie è una contraddizione di termini. Confortare e sostenere la categoria in presunta difficoltà, mentre piovono aiuti comunitari e si ristrutturano fienili che diventano ville diventa offensivo per la gente comune.
Agricola, agricolae
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