Correggere o non correggere, questo è il dilemma


Da un recente dibattito epistolare (ormai divenuto rigorosamente e tristemente solo elettronico) col mio alter ego Gianluca, mi sono ritrovato ancora una volta assalito e assillato dall’annoso dubbio che lega la mia vita alla fotografia.
L’avvento del digitale ha rimpiazzato metodo e qualità con praticità e quantità. È innegabile. Resistono poche eccezioni. Ma le eccezioni, si sa, non fanno altro che confermare la regola. Personalmente cerco di dare sempre nuova linfa alla vena creativa, ma è lampante che anziché studiare per minuti la giusta inquadratura o la migliore messa fuoco, appaia più semplice moltiplicare gli scatti: si procede per tentativi; quello che poi non va, si butta. Dunque anche il buon risultato è sempre più simile ad un effetto “statisticamente possibile”, più che ad un’esecuzione unica e perfetta.
Questo sistema comodo e dinamico, che di fatto ha cambiato l’approccio alla fotografia, contempla anche il ritocco delle immagini, la correzione dei colori, la miglioria di effetti come la luce o il contrasto. Ora, può dirsi eticamente e deontologicamente corretto intervenire post su quanto si è immortalato ante? La fotografia non è forse l’arte di immortalare, di cogliere l’attimo irripetibile, di fermare il tempo in un’immagine? Intervenire sul risultato di un click, non è dunque una mistificazione della realtà? Certamente sì.
Ma allora il fine del bello, cioè arrivare a creare un’immagine piacevole (che è anche il fine della fotografia stessa), che ruolo ha? Se il fine è il bello, non posso giungere a giustificare il mezzo che uso per conseguirlo? Anche se il mezzo è costituito dall’artificio di un computer?
È a questo punto che subentra la nozione di “giusta misura”. L’espressione indica che potrei accettare di intervenire post, ma solo nel caso di un’ingerenza minimale. Se cambio luce o colori, cambio quello che da fotografo ho visto e “fermato”. Ma se mi limito a tagliare i bordi dell’immagine, non muta quello che ho realmente visto al momento dello scatto. Se un pittore sceglie la dimensione della tela e decide dove posizionare il soggetto, al centro o al margine, un fotografo potrà pur scegliere la misura della sua foto e ritagliarla affinché il soggetto acquisti centralità o marginalità, potrà pur eliminare con la forbice i dettagli inutili o i particolari fuorvianti. Oppure no? In fin dei conti lo spartiacque è sempre l’intervento a valle: il pittore agisce mentre dipinge; il fotografo, qualunque sia la sua interferenza, interviene in un momento successivo, per cambiare un “dipinto” già eseguito.
Non è facile dirimere la controversia.

  1. #1 by Paio at 9 novembre 2006

    “La fotografia non è forse l’arte di immortalare, di cogliere l’attimo irripetibile, di fermare il tempo in un’immagine? Intervenire sul risultato di un click, non è dunque una mistificazione della realtà? Certamente sì.”

    È proprio qui il problema:
    la fotografia è molto meno “attimo” di quanto si possa credere.
    Io non distinguerei così nettamente tra il momento dello scatto inteso come l’istante irripetibile e tutto che invece viene dopo (memorizzazione, sviluppo, ritocco, ingrandimenti, ecc…)

    Ad esempio, anche nel sistema a pellicola la foto non è ancora determinata e immodificabile dopo lo scatto; non c’è un’unica soluzione (giusta o meno che sia): esiste un ventaglio di possibili forme che può assumere sulla carta stampata. La bravura del fotografo (quelli veri, non lestofanti come noi) può stare anche ad esempio nel tenere di più o di meno le foto nelle soluzioni acide durante lo sviluppo, cercando combinazioni di luminosità e contrasto insolite ma più d’effetto.
    Si può definire questo un artificio?
    Forse sì.
    Però avviene sì dopo lo scatto ma quando ancora non esiste l’originale, quando non si è ancora definitio nessuno originale di riferimento; quindi non lo si può definire intervento correttivo a posteriori. A posteriori di cosa se non c’è ancora nulla prima?
    Allo stesso modo operano tutte le macchine digitali. Se anche non lo sappiamo e non possiamo intervenire tutte le fotocamere nel momento stesso in cui si scatta la foto e la devono memorizzare applicano una serie (standard) di modifiche e miglioramenti a colori, luminosità, contrasto ecc… Esattamente le stesse operazioni che facciamo manualmente noi con software di fotoritocco. Anche quelle totalmente manuali fanno questo; saranno operazioni meno invasive ma ci sono comunque perché il produttore della macchina ha comunque impostato il sensore perché a una certa soglia di frequenza della luce faccia corrispondere un certo valore RGB e un certo colore sul tuo monitor (un po’ le stesse cose le ha fatte anche il produttore dei tuoi vecchi rullini).
    Quindi ci sono sempre meno punti fermi o riferimenti per dire cosa è lo scatto, cosa è quello che il fotografo vede “davvero” mentre scatta.
    E rincaro la dose.
    Pensa a una stessa immagine digitale vista su monitor diversi specialmente su vecchi monitor a tubo catodico e nuovi lcd. Cambiano totalmente.
    E quale sarebbe quella giusta?
    E come si fa a stabilirlo?
    E per chiudere e andare a letto: chi ti dice che il tuo rosso sia uguale al mio? Un approccio neurofisiologico potrà dirci che mentre vediamo uno stesso oggetto le stesse zone dei nostri cervelli regiscono in modo vagamente simile nulla di più.

    Mi dichiaro relativista percettivo e approvo qualsiasi operazione di fotoritocco.

  2. #2 by Gianluca at 20 novembre 2006

    Mavva! La fotografia non ha nulla a che fare con la realtà.
    E’ solo come il fotografo ha voluto leggere quel determinato istante.
    E lo legge come cavolo vuole, intervenendo appunto sulla macchinetta (digitale o analogica o ecc…) giocando con i pulsanti giusti (compensazione, otturatore, diaframma, ecc.).
    Poi la compone e scatta.
    A casa la riguarda e si chiede se è così che la voleva.
    E fa le sue considerazioni.
    Ma non sulla realtà, ma sulla sua percezione della realtà che voleva fotografare.

  3. #3 by admin at 22 novembre 2006

    Non sono d’accordo. Se la realtà non c’entra niente, allora perchè invece di fotografare non fai un corso di disegno elettronico o robe simili. Perchè immortali momenti particolari, cerimonie, vacanze? Se si tratta solo di una ricerca “artificiale”, perchè ritrai milioni di volti figli e familiari vari?
    Su, dai. Capisco l’impegno per far rilatare meglio qualcosa o nascondere qualcos’altro. Ma il punto di partenza è qualcosa di tangibile, di reale.

  4. #4 by Erica at 25 novembre 2006

    Secondo me la fotografia dà un’idea della realtà, ma non è tutta la realtà.
    Quindi il fotoritocco , a mio avviso, è lecito.

    Parlare dell’avvento del digitale nella fotografia mi ha dato lo spunto per un’altra riflessione.

    La tecnologia, che indubbiamente ci facilita la vita, ci ha, di fatto, rubato la possibilità di provare sensazioni, emozioni che prima nascevano, ad esempio, dall’attesa dello sviluppo di una foto, o dall’attesa di una lettera, dalla ricerca di un disco musicale…

    Ci siamo abituati ad avere tutto e subito, e spesso disponiamo anche della possibilità di cambiare facilmente ciò che non ci piace.
    Abbiamo tutto, grazie alla tecnologia, ma a volte ci manca l’emozione legata all’incertezza, al fatto di non sapere in tempo reale l’esito di un evento.
    I tempi di risposta di Internet sono velocissimi e non ci danno il tempo di creare, di costruire, un particolare stato d’animo, molto spesso proviamo solo una certa indifferenza.
    Forse perché è facile raggiungere l’obiettivo, forse perché abbiamo il mondo a portata di “click”, forse perché se scriviamo qualcosa, lo possiamo correggere senza fatica e inviare con altrettanta semplicità a decine di persone contemporaneamente ovunque, forse perché è tutto più semplice e quindi meno coinvolgente.

    Pretendiamo tutto, subito dalle macchine supertecnologiche che fanno parte del nostro vivere; speriamo di ricordarci che il nostro prossimo non è un automa con i tempi di risposta di una macchina e con l’efficienza di un computer, bensì un complesso e meraviglioso universo che necessita di tempo, pazienza, dedizione per essere scoperto e che ha bisogno di amore per dare il meglio di se.

  5. #5 by admin at 25 novembre 2006

    Ahhhh, il gusto dell’attesa per le foto da ritirare al laboratorio di sviluppo meriterebbe un capitolo a parte. E’ un concetto basilare. Con Gianluca ne abbiamo dibattuto diverse volte. Forse questo “gusto”, che con l’immediatezza del digitale è andato perdendosi, è la cosa che più mi manca.

(non verrà pubblicata)

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