“Le mie parole sono sassi, precisi, aguzzi,
pronti da scagliare su facce vulnerabili e indifese.
Sono nuvole sospese, gonfie di sottointesi,
che accendono negli occhi infinite attese.
Sono gocce preziose indimenticate, a lungo spasimate, poi centellinate.
Sono frecce infuocate che il vento e la fortuna sanno indirizzare.
Sono lampi dentro un pozzo, cupo e abbandonato,
un viso sordo e muto che l’amore ha illuminato.
Sono foglie cadute, promesse dovute,
che il tempo ti perdoni per averle pronunciate.
Sono note stonate, sul foglio capitate per sbaglio, tracciate e poi dimenticate.
Le parole che ho detto, oppure ho creduto di dire, lo ammetto…
Strette tra i denti, passate, ricorrenti inaspettate, sentite o sognate…”
(Le mie parole – Samuele Bersani)
Proprio oggi due persone, senza conoscersi neppure lontanamente e muovendo le loro argomentazioni da situazioni ben diverse, mi hanno spinto a riflettere sulla scrittura. Lo faccio con piacere.
Con l’aulica scusa dello “scripta manent”, corriamo a suggellare con la forma scritta ogni intesa ed ogni patto, siano essi di natura contrattuale, organizzativa o di semplice amicizia. Firmiamo contratti scritti, lavoriamo sulla scorta di istruzioni “word”, ci aggreghiamo e ci confessiamo con lunghe e-mail e divertenti sms… Ci siamo convinti che “se non è scritta non vale, se non lo scrivo non mi ricordo”. Siamo caduti rapidamente in una inconsapevole trasumanza: dal “verba volant”, al fugace “scripta manu”, fino all’inevitabile ed irreversibile “scripta tastu”. Conversazioni telefoniche, lunghe chiacchierate, intese di sguardi ed equivoci vocali: eravamo questo. Soli con noi stessi, con le nostre emozioni e con le nostre capacità. Non l’ausilio del ricordo artificiale di una mail antica, non la maschera di un messaggio sibillino. Non avevamo bisogno di archiviare la conversazione, al limite ripetevamo alla nausea gli stessi concetti, pazienza… Non avevamo bisogno di nasconderci dietro l’sms algido, al limite esitavamo una volta, ma la seconda… Parole dette da una voce che suona, pensate da un cuore che pulsa, accompagnate da occhi che guardano, facce e gesti che esprimono. Eravamo questo. Eravamo NOI. Ora usiamo il telefono per scrivere ed il computer per parlare; ci siamo convinti che il nostro “viaggio” ci abbia portato ad un’ambita meta. Io non scrivo più con la penna, esterno ciò che penso attraverso un blog, parlo ai colleghi e agli amici con l’impersonalità della posta elettronica. Non è che con questo viaggio siamo andati indietro?
#1 by Erica at 22 novembre 2006
Come dice un detto: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Sembra un paradosso ma in alcune situazioni corrisponde a verità. Questa, a mio parere, è una di quelle.
Oggi giorno parlare, comunicare attraverso la voce, è diventato un lusso, un privilegio; un tempo, prima che la tecnologia ci sommergesse, era una cosa naturale.
Oggi riusciamo a stabilire un contattato in qualsiasi momento, ovunque, indipendentemente da quello che si sta facendo. Servono solo pochi attimi per mandare un sms a migliaia di chilometri,
ma è solo un contatto, uno scambio di informazioni. A volte è importante ed esaustivo ma nella stragrande maggioranza dei casi è decisamente riduttivo, limitante, impersonale, ben lontano da una conversazione.
Talvolta cerchiamo di sopperire alla mancanza di personalità inserendo nel testo qualche simbolo che ci aiuti a trasmettere il nostro umore: una faccina che ride, una che strizza l’occhio, ma è solo un’illusione, nulla regge il paragone con la voce.
A volte, usare un sms o un email per comunicare i propri pensieri, opinioni, pareri, risulta un sistema facile per dire cose “scomode”, difficili, complicate da dire a voce. Sembra una cosa vantaggiosa, in realtà, così facendo, perdiamo di carattere. Anziché affrontare l’universo che si racchiude in ogni essere umano, ci nascondiamo dietro ad una striminzita email, schiacciamo il tasto “Invia” e ci convinciamo di aver fatto il nostro dovere, la cosa giusta.
Tante altre cose si potrebbero dire per rispondere che siamo decisamente tornati indietro, che ci abbiamo perso a livello umano. Non potrebbe essere altrimenti dal momento che usando in modo improprio uno strumento di comunicazione ci siamo auto limitati nell’uso dei sensi: lo sguardo, la gestualità, il tatto, il tono di voce, un sorriso, l’espressione del viso, il profumo, la percezione dell’altro, comunicano più di tante parole.
Il mio augurio è che almeno gli amici veri riescano a regalarsi il lusso di una vera conversazione.