Il populismo che si ripete


Con l’aiuto di Gianluca ho rubato dal blog di Beppe Grillo una preziosa citazione sul populismo. E’ un brano di qualche anno fa, ma in tempo di campagna elettorale mi è parso semplicemente attuale. Non trovo termine migliore per definirne il valore di questa analisi. È mia opinione che si possa qualunquisticamente applicare ad ogni governo e ad ogni opposizione.
Leggendolo, pensate a chi può averlo scritto. In fondo (non barate) ho messo l’autore.

Una sola preoccupazione spinge a costruire programmi nuovi o a modificare quelli che già esistono: la preoccupazione dell’esito delle prossime elezioni. Non appena nella testa di questi giullari del parlamentarismo balena il sospetto che l’amato popolo voglia ribellarsi e sgusciare dalle stanghe del vecchio carro del partito, essi danno una mano di vernice al timone. Allora vengono gli astronomi e gli astrologhi del partito, i cosiddetti esperti e competenti, per lo più vecchi parlamentari che, ricchi di esperienze politiche, rammentano casi analoghi in cui la massa finì col perdere la pazienza, e che sentono avvicinarsi di nuovo una minaccia dello stesso genere. E costoro ricorrono alle vecchie ricette, formano una “commissione”, spiegano gli umori del buon popolo, scrutano gli articoli dei giornali e fiutano gli umori delle masse per conoscere che cosa queste vogliano e sperino, e di che cosa abbiano orrore. Ogni gruppo professionale, e perfino ogni ceto d’impiegati viene esattamente studiato, e ne sono indagati i più segreti desideri.

Le commissioni si adunano e rivedono il vecchio programma e ne foggiano le loro convinzioni come il soldato al campo cambia la camicia quando quella vecchia è piena di pidocchi. Nel nuovo programma, è dato a ciascuno il suo. Al contadino la protezione della agricoltura, all’industria quella dei suoi prodotti; il consumatore ottiene la difesa dei suoi acquisti, agli insegnanti vengono aumentati gli stipendi, ai funzionari le pensioni. Lo Stato provvederà generosamente alle vedove e agli orfani, il commercio sarà favorito, le tariffe dei trasporti saranno ribassate, e le imposte, se non verranno abolite, saranno però ridotte.
Talvolta avviene che un ceto di cittadini sia dimenticato o che non si faccia luogo ad una diffusa esigenza popolare. Allora si inserisce in gran fretta nel programma ciò che ancora vi trova posto, fin da quando si possa con buona coscienza sperare di avere colmato l’esercito dei piccoli borghesi e delle rispettive mogli, e di vederlo soddisfatto. Così, bene armati e confidando nel buon Dio e nella incrollabile stupidità degli elettori, si può iniziare la lotta per la riforma dello Stato.
Ogni mattina, il signor rappresentante del popolo si reca alla sede del Parlamento; se non vi entra, almeno si porta fino all’anticamera dove è esposto l’elenco dei presenti. Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione, iscrive il suo nome e, per questi continui debilitanti sforzi, riceve in compenso un ben guadagnato indennizzo.

Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva non può far altro che trasformarsi in maggiolino, così questi bruchi parlamentari lasciano la grande serra comune ed, alati, svolazzano fuori, verso il caro popolo.
Di nuovo parlano agli elettori, raccontano dell’enorme lavoro compiuto e della perfida ostinazione degli altri; ma la massa ignorante, talvolta invece di applaudire li copre di parole grossolane, getta loro in faccia grida di odio. Se l’ingratitudine del popolo raggiunge un certo grado, c’è un solo rimedio: bisogna rimettere a nuovo lo splendore del partito, migliorare il programma; la commissione, rinnovata, ritorna in vita e l’imbroglio ricomincia. Data la granitica stupidità della nostra umanità , non c’è da meravigliarsi dell’esito. Guidato dalla sua stampa e abbagliato dal nuovo adescante programma, l’armento proletario e quello borghese ritornano alla stalla comune ed eleggono i loro vecchi ingannatori.
Con ciò, l’uomo del popolo, il candidato dei ceti produttivi, si trasforma un’altra volta nel bruco parlamentare e di nuovo si nutre delle foglie dell’albero statale per mutarsi, dopo altri quattro anni, nella variopinta farfalla
“.

dal Mein Kampf di Adolf Hitler. Curioso, eh?

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